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PARTE IIIª
TERAYAMA E IL TEATRO

 

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CAPITOLO 6 

PERCHÉ TEATRO


E' giunto il momento di esaminare più in particolare il rapporto di Terayama con il teatro.
 In base alla nostra ricerca possiamo dire che, contrariamente a quanto potrebbe apparire ad una prima analisi, l'interesse di Terayama nei confronti del teatro non risale alla maturità, si tratta piuttosto di un processo interiore molto lento, iniziato a livello pressoché inconscio durante l'adolescenza. Molto interessante a questo riguardo è un'intervista, rilasciata in forma colloquiale un anno prima della morte a Kitagawa Takanobu, trascritta e pubblicata postuma da quest'ultimo:

 

"Ho iniziato a fare teatro  durante il primo anno di università, nell'auditorio Ôkuma, con lo spettacolo "La terra dimenticata". Ne conservo ancora il copione.
[...] Così ex abrupto non sono in grado di risalire ad al motivo preciso per cui abbia iniziato.
Quello che so con certezza è che al  Gekiken della Waseda University era nata una compagnia teatrale, il Jiyû Butai (palco libero). [...] A quell'epoca io facevo parte del circolo dei poeti della Waseda e come membro di tale gruppo non andavo molto d'accordo con i ragazzi del Jiyû Butai. [...] Al Jiyû Butai si preoccupavano di appianare le divergenze dei vari gruppi facenti parte del Gekiken. Per evitare che si formassero delle resistenze solitarie, il gruppo del Jiyû Butai pensò di unire i vari gruppi appartenenti al Gekiken e mettere su uno spettacolo.
 Naturalmente gli spettacoli che venivano allestiti dal Jiyû Butai erano piuttosto carenti e, spesso per ovviare ad alcune mancanze, si ricorreva a soluzioni molto approssimative.
Per quanto riguarda la mia partecipazione devo dire che è stata un'esperienza alquanto soddisfacente: avevo pensato ad uno spettacolo che avesse per protagonisti uomini e animali ciechi, dando vita così ad una Terra Dimenticata, nel senso che nessuno poteva accorgersi di questo territorio.
Non avevamo ancora iniziato le prove che mi sono ammalato e sono stato costretto al ricovero, di conseguenza lo spettacolo si è fatto senza di me."
[1]

Questo brano rappresenta un interessante resoconto della prima esperienza attiva in teatro da parte di Terayama. Da esso si capisce che l'esordio della sua attività in campo teatrale sia dovuto a cause contingenti piuttosto che al consapevole desiderio di fare teatro in maniera attiva. Comunque sempre nella stessa intervista emerge, in seguito, una presenza  del teatro più sommessa e impercettibile che ebbe inizio con una rappresentazione a cui Terayama ebbe modo di assistere ad Aomori durante gli anni del liceo:

 

"La prima volta che ho assistito ad uno spettacolo teatrale risale ai tempi del liceo. Gli allievi di una scuola serale davano "Kanjin no Uta" (la canzone del mendicante) Devo dire che questo spettacolo non mi lasciò assolutamente nessuna impressione.
Però nel corso dello spettacolo viene cantata la "Ninnananna dei cinque alberi". Bè, questa canzone, unita all'atmosfera della scuola serale, una scuola in cui si deve accendere la luce, creava un'atmosfera estremamente strana.
Io ero un ragazzo da cinema. Sono stato allevato in un cinema e fino a quel momento non avevo visto altro che film. Pertanto il vedere delle persone in carne ed ossa che, in una scuola serale, recitavano cantando in quel modo la "Ninnananna dei cinque alberi" ha avuto su di me una profonda impressione.
Soprattutto sono stato favorevolmente influenzato dalla presenza di persone in carne ed ossa. Non ho potuto fare a meno di paragonarle con quelle proiettate sullo schermo.
Così inconsciamente ho iniziato a desiderare di cimentarmi anch'io nel teatro, ma al tempo stesso avevo la sensazione che fare teatro in pratica dovesse essere estremamente difficile. Inoltre già a quell'epoca avevo scritto tanka ed haiku e pensavo che la mia posizione di poeta fosse inconciliabile con quella di uomo di teatro."
[2]

A quanto pare quindi la curiosità nei confronti del teatro risale proprio a questa prima esperienza come spettatore. E' interessante notare che l'elemento che suscitò l'interesse di Terayama in quell'occasione non fu lo spettacolo di per se: - "[...] Lo spettacolo non ha lasciato in me assolutamente nessuna impressione [...]" - bensì l'atmosfera inconsueta e stridente che si era venuta a creare grazie all'insolita fusione tra una ninnananna e il locale in cui lo spettacolo era stato rappresentato: una scuola serale - struttura priva di uno spazio scenico convenzionale - distante, pertanto, sia dal teatro inteso in maniera classica, sia dalle normali scuole in cui le lezioni si svolgono nel corso della mattinata.

Il passo successivo verso la produzione teatrale, come abbiamo già visto, è costituito dall'esperienza di scrittore di drammi radiofonici. In quel periodo Terayama aveva bisogno di denaro e la poesia non era sufficiente a garantirgli la sopravvivenza. All'epoca era un'attività comune tra molti poeti famosi scrivere romanzi o drammi in versi per la radio, per guadagnare qualcosa.

Terayama affermava di non sentirsi pronto in quel periodo per scrivere un romanzo, decise così di dedicarsi alla stesura di drammi radiofonici su commissione di alcune emittenti. Il successo attenuto diede a Terayama il coraggio sufficiente per passare alla stesura di drammi per il teatro:

 

"Ci sono due ragioni per cui ho iniziato a rivolgermi al teatro. La prima è che con la poesia non si può sopravvivere. Ho deciso così di passare alla letteratura. Avevo dei dubbi sullo scrivere un romanzo e così ho iniziato a scrivere drammi per la radio e cose di questo tipo. Era un metodo molto usato da poeti come Tanikawa Shuntarô, Ôka Makoto, Kawasaki Hiroshi.
Ricevendo dei premi per queste opere ho acquistato fiducia in me stesso. Mi sono detto perché non cominciare a scrivere anche per il teatro?
L'altra ragione per cui sono passato a scrivere per il teatro è una ragione interiore: quando mi sono trasferito a Tôkyô ho fondato un circolo letterario, e prendevo appuntamento con i nuovi membri qua e là nelle stazioni della metropolitana vicine alle loro case. [...] Finché incontravo due o tre persone, si creava quella sensazione di freschezza tipica di quando si incontra una persona per la prima intervista.
In genere per esprimermi io uso sempre carta e penna e nel  ripetere lo stesso monologo divento sempre più chiuso. Ho anche dei complessi nei confronti della lingua. Non ho un carattere molto estroverso ma penso che per la crescita personale sia sbagliato servirsi di un monologo. Penso anche che sia un errore evitare il dialogo, perché, per cambiare se stessi, potrebbe essere molto produttivo incontrare delle persone bizzarre, molto diverse da sé.
Pertanto, dal momento che parto dall'idea che il teatro possa esistere solo laddove ci sia un dialogo, mi sono accinto a scrivere per il teatro."
[3]

Il passaggio dalla produzione di drammi radiofonici ai drammi teatrali risale al 1960, quando Terayama scrisse, su commissione del Gekidan Shiki, "Il Sangue Dorme in Piedi" (Chi wa tatta mama nemutte iru). A questa opera seguì la richiesta di altri copioni da parte di compagnie già costituite. In quel periodo Terayama non pensava ancora di dedicarsi personalmente al teatro e si limitava a scrivere pièce per conto di terzi. Tuttavia, con il passare del tempo, egli sentì nascere in sé l'esigenza di scrivere, a differenza delle opere che gli erano state commissionate fino a quel momento, un dramma più lungo, di cui iniziò la stesura intorno al 1963. In quel periodo, malgrado ciò, la sua attenzione si diresse maggiormente verso composizioni scritte sulla base di eventi reali, pertanto il suddetto dramma non vide mai una conclusione. Terayama si dedicò a scrivere saggi sul mondo dello sport e reportage su fatti di cronaca alternandoli a produzioni drammatiche:

 

"Per me i fatti [di cronaca], così come uscire per strada e incontrare le persone nella loro vita quotidiana, costituiscono delle esperienze a carattere altamente 'drammatico'".[4]

Il cambiamento definitivo che portò alla nascita del Tenjô Sajiki avvenne nel 1966. In quell'anno Terayama fu contattato da Higashi Yûtaka il quale intendeva mettere in scena uno spettacolo scritto da Terayama, alla Waseda University. Ecco il resoconto dell'accaduto rilasciato dallo stesso Terayama a Kitagawa Takanobu:


"[...] Improvvisamente fui contattato da Higashi Yûtaka, per mettere in scena "Il Sangue Dorme in Piedi" con la compagnia teatrale della Waseda University. Higashi lesse le didascalie e mi disse che voleva rappresentarlo. Gli ho risposto che avrei preferito non prendervi parte. Gli raccontai anche di come, in precedenza, già da molti anni desiderassi mettere su una mia compagnia. Naturalmente non avendo denaro a sufficienza non mi era stato possibile.
Gli ho proposto di costituirla insieme. Higashi mi disse che avrebbe voluto includere nella compagnia anche un tizio che si occupava di arte, un certo Yokoo Tadanori e la signorina Kujô. Per il momento non conoscevamo nessun altro, ma da allora abbiamo cominciato a radunare attori, partendo da questo piccolo nucleo..."
[5]

 

E' possibile crearsi un'idea  piuttosto precisa delle motivazioni che spinsero Terayama verso la sua particolare impostazione dell'arte teatrale. Il brano che segue è infatti molto significativo per illustrare quali fossero le premesse in base alle quali Terayama intendeva impostare la compagnia, derivanti in parte determinante dalla sua posizione nei confronti del genere teatrale dello Shingeki:

 

[...] Se devo essere sincero ora non saprei riferire quale fu esattamente la molla che mi spinse verso la fondazione di una nuova compagnia, perché non la ricordo con chiarezza. Comunque senz'altro  il motivo è rintracciabile nell'epoca che mi lasciavo alle spalle. Ero interessato a sperimentare un tipo di teatro che fosse nuovo, originale. Mentre in quel periodo il mondo, voglio dire il mondo dello Shingeki, era incentrato quasi esclusivamente su opere tradotte. Quando a volte mi capitava di assistere a spettacoli di questo tipo mi rendevo conto, oltretutto, che il testo originale e la traduzione non concordavano affatto. Inoltre gli attori si esprimevano in un linguaggio letterario e starli ad ascoltare era estremamente penoso...
Il mio intento era di abbattere il mondo del teatro.
Il che, tradotto in termini pratici, significa che avevo in mente un genere che si avvicinasse piuttosto al taglio dei documentari, che non a qualcosa di squisitamente teatrale.
Mi ero prefisso lo scopo di creare un movimento che rompesse completamente e definitivamente la finzione insita nello Shingeki. [...] uno dei tipi di finzione contenuti in questo genere teatrale consiste nel cercare di far passare per reali dei prodotti artificiali"
[6]

In effetti Terayama, nell'ambito di questa 'lotta' contro la staticità e la falsità dello Shingeki, promosse movimenti a scopo sovversivo come avvenne per esempio nel caso del  già citato "Buttate via i libri uscite per le strade": "Ho promosso il movimento contro la lettura dei libri per far si che gli studenti si legassero di più alla realtà."[7] o anche con "Incitazione a scappare di casa".

Stando a quanto afferma Takatori Takeshi in "Terayama Shûji Ron" uno dei motivi per cui Terayama fondò il Tenjô Sajiki sarebbe stato proprio per accogliere  tutti i giovani che leggendo quest'ultimo libro si fossero allontanati dalle proprie famiglie.

Egli iniziò a pubblicare, insieme a Yokoo Tadanori, inserzioni sui giornali alla ricerca di ragazzi e ragazze, tipi bizzarri, persone colpite da deformità fisiche, gente stravagante. A coloro che rispondevano all'annuncio veniva fatta un'intervista raccolta all'impronta da Higashi Yûtaka. Tra i personaggi che risposero alle inserzioni sui quotidiani ci furono, tra gli altri, anche il giovane Kara Jûrô, che già svolgeva un'attività di attore,  Hagiwara Sakumi e Ogura Yoshi.

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CAPITOLO 7 

 

CONTATTI

 

Questo capitolo è stato pensato allo scopo di fornire una visione a più ampio spettro dell'attività teatrale di Terayama Shûji. Con il termine contatti si intende infatti indicare non solo le personalità grazie alle quali Terayama si è avvicinato alla produzione teatrale e coloro che lo hanno aiutato materialmente ad iniziare la propria carriera, ma anche il bagaglio culturale che possa aver fornito, nell'ambito della storia del teatro, uno spunto o anche un elemento di rigetto per la creazione delle proprie teorie sul teatro moderno.

Dagli articoli scritti su Terayama, e dalle interviste rilasciate da quest'ultimo, emerge piuttosto evidentemente la sua forte personalità e la conseguente indipendenza del suo modo di proporre teatro rispetto alle compagnie che si muovevano nel Giappone di quegli anni, nell'ambito dell'avanguardia teatrale. Questa sorta di volontario isolamento si verificò non soltanto sul piano strettamente formale, ma molto spesso anche per quanto concerne i contatti umani tra Terayama e gli altri esponenti del teatro di underground giapponese.

Nel capitolo dedicato ai motivi per cui Terayama si sia rivolto al teatro, abbiamo visto come l'avvio della compagnia del Tenjô Sajiki sia derivato, in un certo senso, da un avvenimento contingente: l'occasionale incontro con Higashi Yûtaka, il quale ebbe l'importante ruolo di catalizzatore di un processo di avvicinamento al teatro già in atto da lungo tempo.
I primi contatti di importanza sostanziale per la costituzione del laboratorio teatrale del Tenjô Sajiki avvennero quindi esclusivamente con Higashi Yûtaka, Yokoo Tadanori e Kujô Eiko.
L'avvio della compagnia teatrale non fu pertanto un processo avviato dall'alto, grazie all'incoraggiamento di personalità illustri nel campo del teatro - come era invece avvenuto per i drammi radiofonici. Al contrario una delle idee basilari di Terayama sul teatro moderno era quella di costituire una compagnia che traesse la propria forza "dall'essere nata dall'incontro di tutti gli individui emarginati dalla società", sia per ragioni di deformità fisiche, sia perché latori di idee sovversive.  Per Terayama l'emarginazione riveste una particolare importanza in quanto ha il potere di rendere il membro della società che ne è vittima un 'personaggio', dotato di caratteriste peculiari proprie. Egli assume in tal modo una forza dirompente, derivante dal passaggio da una  condizione di numero indistinto di una società alienante a quella di individuo dotato di una propria personalità e di idee proprie.

 

"Marcel Mauss in "Schizzo di una Teoria generale della Magia" dichiara che le peculiarità che designano il mago sono costituite sempre da alcune caratteristiche patologiche, inerenti la sua fisiologia e la sua psicologia; si tratta di elementi specifici che conferiscono al mago un'esistenza diversa da quella comune. Questi elementi lo rendono definitivamente un individuo singolo e distinto, isolandolo così dalle altre persone, conferendogli una qualità sovrannaturale.
In Africa  esiste una credenza secondo la quale gli zoppi e  i fabbri
[8] hanno capacità magiche. Il loro compito è quello di attrarre su di sé il peso degli errori della collettività. Così il compito iniziale della rappresentazione teatrale consiste nel generare nuove occasioni di incontro tra zoppi, fabbri, stregoni ed emarginati per invitarli a formare una compagnia teatrale."[9]

In effetti Terayama tiene fede a questo proposito, la tenda piantata nel giardino della sua casa, che i membri della compagnia chiamavano affettuosamente il "nostro salotto" adempieva proprio a questa funzione di occasione di incontro.

Così, a parte qualche caso particolare, la maggior parte dei membri accolti nella compagnia del Tenjô Sajiki era costituita da persone comuni e non da attori professionisti.

Il caso più rilevante di contatto con altri esponenti del teatro di underground del periodo e costituito dalla presenza di Kara Jûrô.

Egli aveva alle spalle  diversi anni di esperienza come attore teatrale, e il suo incontro scontro con Terayama è alquanto importante perché costituisce un raro esempio di contatto tra questi ed altri membri dell'avanguardia giapponese.

Kara era più giovane di Terayama e nutriva nei confronti di quest'ultimo una profonda stima e un notevole interesse per le sue teorie teatrali.
Il loro rapporto era iniziato già nel 1962, quando  Kara  Jûrô aveva curato l'allestimento di un dramma televisivo scritto da Terayama, "Un Animale". In questo periodo iniziò tra i due uno scambio costante di visite e di corrispondenza. Terayama incoraggiò e sostenne Kara nella costituzione della propria compagnia il Jôkyô Gekijô (Teatro Situazionale).

L'avversione nei confronti del dominio culturale dell'occidente era espressa in maniera più esplicita da Kara rispetto quanto non facesse Terayama. Nelle sue opere è molto più evidente il tentativo, proprio a tutti i gruppi appartenenti al movimento post-Shingeki, di sottolineare un'autonomia e una validità del patrimonio culturale del Giappone. Egli con il suo Jôkyô Gekijô fece più di qualsiasi altro per dar vita a questo movimento. Secondo Takatori Takeshi, Terayama e Kara differiscono inoltre per il metodo di approccio alla realtà; il primo, partendo dalla fantasia per arrivare alla vita quotidiana, utilizza un metodo induttivo; il secondo al contrario è deduttivo, spostandosi dalla realtà quotidiana all'ideale. Anche le loro carriere sono state differenti:

 

"Terayama aveva iniziato con la letteratura per poi passare al teatro e tornare infine di nuovo alla letteratura; mentre Kara Jûrô ha iniziato la propria carriera come attore e successivamente è passato a dedicarsi alla carriera di scrittore poiché come drammaturgo è un genio eccellente."

In ogni caso, a prescindere dalle differenti posizioni dei due scrittori, la loro amicizia ha prodotto uno scambio di idee comunque proficuo per entrambi. Questo almeno agli inizi. Difatti a due anni di distanza dalla creazione del Tenjô Sajiki questo sodalizio, durato quasi dieci anni, si interruppe bruscamente. Le ragioni del litigio sono riportate da Takatori Takeshi nei seguenti termini:


"Inizialmente il gruppo del Tenjô Sajiki, pur avendo iniziato la propria attività più tardi rispetto al Jôkyô Gekijô, aveva un numero maggiore di fans. Questo successo era cagione di forti attriti e di accesa rivalità. Successivamente, per motivi contingenti, l'attenzione di Terayama si rivolse maggiormente all'estero, le sue tournée suscitavano grande sensazione e raccoglievano molte lodi. Il Tenjô Sajiki era divenuto ormai un gruppo internazionale mentre la compagnia di Kara all'Angura Shôgekijô era diventata la più amata dai fans giapponesi.
Nel 1972 Kara pubblicò delle critiche irriverenti nei confronti dello spettacolo Jashûmon. Terayama ne fu profondamente amareggiato. I rapporti si interruppero; essi ripresero solo nel 1976 quando Terayama partecipò all'allestimento di uno spettacolo del Jôkyô Gekijô."
[10]

In ogni caso, eccetto questa esperienza di collaborazione e amicizia con Kara Jûrô, Terayama tese ad isolarsi in maniera piuttosto evidente nel contesto del teatro giapponese. Non aveva relazioni con le altre compagnie esponenti dell'avanguardia, né, tantomeno, buoni rapporti con la critica, che giudicava ciecamente severa e reazionaria. In un intervista rilasciata ad Oôzasa Yoshio riportata in Dôjidai Engeki to Engeki Sakkatachi, Terayama afferma:

 

"L'ambiente del teatro  giapponese è  troppo ristretto e limitante. Non si è liberi di organizzare uno spettacolo per le strade che subito si viene fermati dalla polizia. Le forze dell'ordine sono addirittura pronte ad intervenire appena si crea un gruppo superiore alle cinque o sei persone.
Lavorare in Giappone è estremamente frustrante. Manca ancora una mentalità sufficientemente aperta. Capita spesso che persino i comuni cittadini assistendo ad una delle mie azioni in strada si spaventino e chiamino la polizia. In Europa e in America la situazione è molto più evoluta."

L'insofferenza nei confronti della situazione giapponese portò Terayama a compiere molto spesso tournée all'estero, contribuendo a creare occasioni di incontro diretto con i maggiori gruppi d'avanguardia occidentali.

Molto spesso, nelle sue opere, Terayama si limita a menzionare i nomi delle compagnie con le quali è entrato in contatto, senza dilungarsi in descrizioni del loro operato oppure prende ad esempio un minimo particolare dei loro spettacoli per criticare e smantellare alcune teorie consolidate. È pertanto pressoché impossibile dire quali possano essere stati gli effettivi contatti e quali le influenze.

Il gruppo di cui ricorrono nelle sue opere le citazioni più frequenti è costituito dal Living Theatre, che egli ebbe modo di conoscere direttamente durante una sua tournée in Europa. Per quanto è possibile dedurre dalle sue citazioni, l'elemento di questa compagnia che maggiormente, pare, avesse colpito Terayama, concerne quel tipo di esperienza interpersonale che egli definisce come trasmissione del contatto. Terayama era perfettamente concorde con la necessità di instaurare un contatto tra attore e spettatore, una sorta di mezzo meccanico per la trasmissione dell'energia, espressa nello spettacolo del Living Theatre Paradise Now. In ogni caso la descrizione di Terayama è estremamente concisa. Essa non permette, pertanto, di capire fino a che punto le sue idee fossero state influenzate dal Living, o piuttosto se non si trattasse semplicemente di una concordanza di vedute.

Per quanto riguarda i contatti indiretti, c'è da premettere che Terayama possedeva una cultura estremamente estesa sia in campo teatrale sia,  più generalmente in campo umanistico, che abbracciava la produzione autoctona e quella occidentale. È pertanto piuttosto difficile rintracciare, se vi sia stata una reale influenza da parte di teorici e autori.

Si può affrontare il problema da un duplice punto di vista.

Da una parte possiamo osservare i contatti di Terayama con altri teorici del teatro attraverso i commenti della critica ed in particolar modo dalla critica occidentale.

Dall'altra  stanno i diversi esponenti della storia del teatro antico e moderno così come questi emergono dalle analisi contenute negli scritti di Terayama.

Per quanto riguarda la critica occidentale, questa molto spesso fa riferimento all'opera di Terayama come ad un surrogato di Artaud, "Un Artaud da cartolina" in cui il concetto di teatro della crudeltà viene stravolto e adattato ad un particolare gusto del macabro e ad una certa indulgenza verso pratiche sadomasochistiche. È proprio questa la critica più evidente, se non quasi del tutto esclusiva, riguardo le influenze su Terayama, viste dalla critica occidentale. Senza dubbio, infatti, quello della crudeltà è l'aspetto che maggiormente ha impressionato la critica durante le tournée europee e statunitensi.

Nel corso dell'intervista rilasciata a Kitagawa, Terayama esprime, nei confronti dell'accusa di copiare Artaud, un profondo dissenso.

 

"Ho letto i saggi di Artaud sul teatro della crudeltà solo recentemente.
Artaud mi piace è vero, ma inizialmente il mio interesse nei confronti di Artaud era rivolto al poeta surrealista, un uomo che presentava evidenti segni di squilibrio mentale. Per quanto riguarda invece le sue teorie sul teatro della crudeltà, esse appaiono un'assurdità, inoltre le ho potute leggere solo in versione tradotta. L'etichetta di "artaudiano" mi è stata conferita in seguito ad alcune critiche uscite sui giornali successivamente alla rappresentazione di Jashûmon  durante una mia tournée europea. Cominciò così a circolare l'idea che fossi un seguace di Artaud, antipodico a Grotowski...
Si sono fraintesi i miei propositi. Ciò  che intendo fare non consiste nel riprodurre Artaud ma più semplicemente nel realizzare un progetto  che anche egli desiderava mettere in pratica: l'unificazione di palcoscenico e platea, del mondo reale e quello della fantasia; ottenere il contatto diretto con il pubblico,  tutto questo indipendentemente da Artaud.
Finché il contatto si limita ad una carezza viene accettato dal pubblico, anzi piace. Ma se in contatto consiste in uno schiaffo viene considerato da condannare. Se, al contrario, attore e pubblico devono restare separati, allora non devono esistere né i baci, né la violenza. Anche Paradise Now del Living Theatre è stato  considerato da molte persone teatro della crudeltà perché c'erano contatti fisici tra attori e spettatori, ma si trattava di baci e carezze. Penso che se all'attore è consentito toccare il pubblico, allora siano lecite sia le carezze sia le percosse.
Ciò che voglio dimostrare usando rapporti molto crudeli, inoltre, è che nella società tradizionale la mente è padrona e il corpo è servo. Ma allo stesso tempo il rapporto può essere rovesciato perché corpo e mente sono legati molto saldamente. Insomma usando il corpo come medium esprimere la crudeltà insita al suo interno"
[11]

Giustamente Franco Quadri nota che non si può liquidare l'opera di Terayama sulla base di canoni occidentali, poiché questi risulterebbero estremamente riduttivi se non addirittura fuorvianti qualora non si affrontasse il senso globale delle proposte di Terayama e se ne trascurasse l'innegabile portata ludica[12]. E' bene pertanto prendere queste critiche per quello che sono, e considerarle come un documento di una lettura particolare; importanti nella loro qualità di testimonianza di come Terayama sia stato accolto e "decifrato" in occidente. Si deve tener conto, infatti che, a rendere difficile un avvicinamento obiettivo ai frutti di una cultura estranea, oltre all'indubitabile limite imposto dalla differenza di cultura, contribuisce un altro limite ben più concreto, consistente nella mancata conoscenza della lingua.

 

Per ottenere un'idea più completa dei contatti che possano  aver influito sulla formazione teatrale di Terayama, passiamo ora ad esaminare il punto di vista soggettivo, ossia i personaggi citati, discussi e spesso criticati dall'autore stesso nei suoi scritti sul teatro. Una serie di teorie e uomini di teatro che - per riportare i più citati - partendo dalle unità aristoteliche arriva a Brecht, Benjamin, Artaud, Stanislavskij, Grotowski.

E' piuttosto complicato inquadrare precisamente l'influenza che questi personaggi esercitarono effettivamente su Terayama. Nella maggior parte dei casi, fatta qualche eccezione per Grotowski, le teorie di Terayama si costruiscono partendo dalle teorie teatrali di questi autori tramite un processo negativo. Egli  analizza e smantella le teorie di Brecht, Benjamin, Artaud, Stanislavskij. Parte dalla critica e dalla negazione dei principi espressi da questi autori per spiegare e costruire le proprie teorie.

Questo concetto potrebbe risultare piuttosto nebuloso, è pertanto utile, per chiarire le idee, la lettura di alcuni brani tratti dalle teorie sul teatro moderno dello stesso Terayama riguardo a questi autori.


" [...] Walter Benjamin e Bertold Brecht definiscono il concetto di teatro come 'arte della riproduzione' [...] e sottolineano l'effetto educativo e la capacità di influenza del teatro. Il pubblico è 'la parte che riceve' e gli attori sono 'la parte che dà'. La trasmissione avviene in maniera unilaterale e lo spettatore non ha la possibilità di prendere parte alla costruzione del teatro.
[...]Gli  spettatori non sono altro che "guardoni legittimati" e gli attori nient'altro se non mammiferi che "interpretano" gesti e azioni altrui. Hanno ucciso la realtà all'interno della rappresentazione e ciò che resta altro non è che la sua imitazione simbolizzata.
 [...]  Senza dubbio è finita l'epoca dell'istruzione tramandata come un antico patrimonio. Il teatro di riproduzione della realtà, sull'onda del sistema di Stanislavskij, così come in teatro della non riproduzione, con autori come Jarry e Ionesco e più tardi Genet, è ormai finito. L'insegnamento brechtiano in esso contenuto come pure il suo contrario, basato sull'influenza di Arrabal  o di Genet, così come l'erotismo e la crudeltà, non sono altro che realtà imitata, rappresentata da alcuni uomini sulla scena."
[13]

Terayama contesta a Brecht l'uso della tecnica dello straniamento per cui, grazie a delle interruzioni intenzionali, il pubblico ha modo di riflettere su quanto sta osservando. Egli evita in questo modo l'immedesimazione e può istruire il suo pubblico, lo spinge a  "manovrare il corpo usando la testa; Terayama aspirava, al contrario di Brecht, a "far lavorare la testa usando il corpo".

 

Abbiamo visto nel brano riportato in precedenza quale fosse l'opinione di Terayama nei confronti del teatro di Artaud. L'unico autore nei confronti del quale Terayama ha espresso in parte pareri favorevoli e con il quale condivide alcune teorie sul teatro è Jerzy Grotowski.


"Gli esercizi per gli attori di Grotowski, essendo rivolti ad un loro scopo precipuo, sono estremamente efficaci. Costituiscono un'ulteriore nazione interiore nel piccolo universo costituito dal nostro corpo. Essendo profondamente radicati nella carne dell'attore, essi eliminano tutto il mondo visibile come un'illusione. Poiché sono coerenti dall'inizio alla fine. [...] Nella sezione dedicata agli esercizi vocali contenuta in "L'allenamento dell'attore" del 1966, Grotowski scrive: "Per quanto concerne il pubblico (in questo caso le persone che non prendono parte personalmente agli esercizi) esso deve rendersi invisibile e inudibile agli allievi."
 [...] Egli ribadisce inoltre che è sbagliato, da parte dell'attore, preoccuparsi del pubblico durante la rappresentazione. [...] Se un attore decidesse di rivolgere al pubblico le proprie attenzioni, in un certo qual modo finirebbe per svendere se stesso."
[14]

 

Ma anche in Grotowski nota delle divergenze rispetto alle proprie idee:

 

"[...] Per Grotowski lo spettatore non è che un osservatore che si trova all'esterno di quel piccolo universo circolare che è il teatro. [...] Gli spettatori si possono correlare con il rapporto tra Grotowski e gli attori sotto diverse angolazioni ma non sono protagonisti di un ulteriore rapporto.  [...]Grotowski rinuncia completamente alla trasmissione del contatto partendo dal rifiuto dei principi della realtà quotidiana come cose invisibili e inudibili. Gli attori si esibiscono ma non interiorizzano, mentre gli spettatori decodificano la cerimonia di corpi che si verifica sul palco, non come esperienza ma come conoscenza. In questo modo va sfumando la traduzione di quest'esperienza in un'altra."[15]

studiando le opere di Terayama si nota chiaramente come egli abbia estrapolato, dalle teorie di questi uomini di teatro, alcuni aspetti particolari, letti secondo un punto di vista del tutto personale.

 In termini generali, si può affermare che Terayama, pur ricavando da altri autori alcuni concetti e alcune forme espressive, abbia elaborato una idea del teatro del tutto personale, frutto dell'elaborazione di molteplici variabili: dall'esperienza diretta, alle teorie teatrali vigenti in Giappone in quel momento, dal background culturale autoctono, a quello occidentale.

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CAPITOLO 8 

IL TENJÔ SAJIKI

 

"Noi consideriamo il teatro come un crimine.

Il nostro lavoro non si volge verso la rivoluzione del teatro, frusteremo il mondo con la nostra immaginazione e la nostra rivoluzione  teatralizzata.

Il Tenjô Sajiki è andato oltre la forma del dramma del passato.

Noi, come gruppo, riformeremo il mondo attraverso la poesia e l'immaginazione.

Prenderemo il potere con l'immaginazione!

La troupe del Tenjô Sajiki si considera l'eretica del mondo teatrale giapponese ed è orgogliosa di essere un posto in cui si ritrovano coloro che scappano da casa."

 

Questo altisonante messaggio costituisce una sorta di dichiarazione di intenti con cui il Tenjô Sajiki ha aperto la propria attività. Esso è molto significativo perché riesce a riassumere molto sinteticamente  quella che è stata l'essenza del laboratorio teatrale fondato da Terayama. Il gioco violento con cui l'immaginazione prende il potere sulla realtà. E' inoltre importante notare che  i membri del Tenjô Sajiki si definissero: "La troupe eretica del mondo teatrale giapponese" poiché questa consapevolezza denota chiaramente la posizione di confine che la compagnia del Tenjô Sajiki assunse volontariamente nelle proprie manifestazioni. Un atteggiamento che andava oltre i limiti raggiunti dalle altre compagnie d'avanguardia, per l'estremismo raggiunto nelle proprie posizioni. Nel 1977 Terayama pubblicò "Gli uomini del Tenjô Sajiki - raccolta  fotografica del palcoscenico della fantasia". In questo libro scrisse che il Tenjô Sajiki era stato un caso di cronaca nera.

 

Gli stessi metodi di selezione dei componenti della compagnia si sono svolti in modo molto insolito.

Yokoo e Terayama pubblicavano degli annunci sui quotidiani nei quali comunicavano di cercare persone di tutti i generi, uomini, bambini, persone portatrici di anomalie e deformità, bei ragazzi e belle donne. Coloro i quali rispondevano all'inserzione venivano sottoposti ad un'intervista nella "Tenda del Sole" (una tenda molto rudimentale e approssimativa, poiché i membri della compagnia non avevano il denaro sufficiente a comprare una tenda vera e propria), luogo di ritrovo della compagnia.

Tra le varie persone che frequentavano la tenda, i membri del Tenjô Sajiki individuavano con precisione gli elementi dotati di maggior talento e li invitavano a far parte della compagnia. In questo modo si andò costituendo un gruppo molto eterogeneo che comprendeva cinque o sei elementi fissi e un numero variabile di persone le  quali prendevano parte alla compagnia solo temporaneamente.

 

Nell'analizzare la serie degli spettacoli prodotti dal Tenjô Sajiki si evidenzia la tendenza da parte di Terayama a portare in scena individui contraddistinti da deformità fisiche. Essa si spiega secondo Takatori Takeshi nei seguenti termini:


"Nel primo periodo del Tenjô Sajiki facevamo recitare di proposito persone afflitte da deformità fisiche. Allo scopo di suscitare nel pubblico sentimenti di repulsione e spavento nel vedere che le varie parti del corpo siano differenti da persona a persona."

Uno degli scopi che il Tenjô Sajiki si proponeva era dunque quello di smuovere le coscienze, di far riflettere il pubblico, ricorrendo a qualsiasi mezzo; con una particolare indulgenza verso metodi duri, ricorrendo spesso allo shock e alla violenza.

Osservando gli spettacoli del Tenjô Sajiki si nota una chiara linea di evoluzione.
I primi spettacoli seguono lo schema degli spettacoli tradizionali. Pur essendo nei contenuti piuttosto stravaganti e innovativi, essi conservano infatti una trama e soprattutto un copione da seguire.
La linea di evoluzione risulta molto evidente e interessante da seguire poiché quasi tutti gli spettacoli che il Tenjô Sajiki rappresentò nel corso della propria attività (ad esclusione di "La lettera di Sagawa" scritto da Kara Jûrô e "Cent'Anni di Solitudine" tratto da un romanzo di Gabriel Garcia Marquez) sono stati scritti e diretti da Terayama. Essi erano pertanto studiati su misura per il Tenjô Sajiki, a servizio delle esigenze e, soprattutto, della visione del teatro della compagnia.
 Nel primo spettacolo della compagnia, "Il Gobbo di Aomori", Terayama, come provocazione,  volle inserire all'inizio dello spettacolo alcuni elementi distintivi del momento di apertura del sipario nel teatro dello Shingeki.

Nel brano seguente Terayama ci fornisce un quadro della situazione da cui scaturì il primo spettacolo della compagnia.


"In quel periodo venivano spesso a farci visita vari personaggi come ad esempio Ogura Yoshi. Tra costoro, individuavamo con cura le persone dotate di  talento e le invitavamo a far parte della compagnia.  Il nostro gruppo è nato in questo modo.
Il primo allestimento de "Il Gobbo di Aomori" risale a quel periodo. Anche nel caso di questa rappresentazione abbiamo allestito lo spettacolo utilizzando al suo interno il naniwabushi[16], abbiamo issato un nobori e suonato il campanello. Nonostante l'uso di queste pratiche  è venuta fuori una forma del tutto diversa dal cosiddetto Shingeki.
In questo avevamo raggiunto il nostro obiettivo."
[17]

Abbiamo un'ulteriore fonte riguardo la rappresentazione del "Gobbo di Aomori" si tratta del resoconto, riportato da Kishida Rio, il quale aveva avuto modo di assistere alla prima, tenutasi nella hall del Sôgetsukaikan.


"Ero tra il pubblico il giorno della prima e ho avuto la sensazione di assistere a qualcosa di importante.  La protagonista femminile, "Taishô Matsu", una liceale di 18 anni che cantava un "naniwabushi", era rappresentata da un uomo. Durante questo spettacolo un personaggio gobbo elargiva saluti a profusione e dall'interno si diffondeva il profumo di bastoncini di incenso. Avevo l'impressione di stare leggendo un articolo di cronaca locale sui casi di persone scomparse del "Yorozu Chôhô". Esprimo questa impressione dovuta al fatto che nel "Gobbo di Aomori"  si ripetevano, come un enigma irrisolvibile, abbandoni e  omicidi di bambini. Ho pensato che "Il gobbo di Aomori" potesse costituire una sorta di scontro gemello tra teatro e crimine."
[18]

Si nota nella descrizione riportata in questo brano la presenza di alcuni elementi tipici del teatro giapponese tradizionale oltre a quelli già citati riferiti allo Shingeki. Tra questi spiccano il naniwabushi e la presenza di un uomo nei panni della protagonista femminile.

Gradualmente gli spettacoli del Tenjô Sajiki andarono assumendo una connotazione sempre più libera da qualsiasi regola e schema prefissati. Si formò così un genere di teatro che risultasse libero da testi e sceneggiature; una sorta di happening in cui l'importanza del pubblico per lo svolgimento dell'azione raggiunge il livello di quella rivestita attori.

Terayama racconta che il motivo per cui il Tenjô Sajiki iniziò ad organizzare spettacoli servendosi della presenza attiva del pubblico ha origini del tutto casuali.


"Faccio riferimento ad una parte della prima rappresentazione del Tenjô Sajiki di "I tempi a cavallo dell'elefante circense", avvenuta nel 1969. La rappresentazione si teneva in un piccolo teatro. Un giorno la palla, che inizialmente era stata ideata per essere usata esclusivamente dagli attori, per un lancio sbagliato finì in platea. Da quel giorno divenne una formula regolare far presentare lo spettatore che prendeva la palla. Così, ogni giorno, "abbiamo avuto la possibilità di vedere il volto del pubblico". Questo, per quanto riguarda il teatro, non si limita al giorno in cui abbiamo trovato questo nuovo metodo, per gli interpreti un piccolo errore di mira si era trasformato in una nuova esperienza.

Gli spettatori che fino a quel momento, nell'oscurità, come una massa anonima, aspecifica e giudice, oppure come guardoni, non avevano mai mostrato veramente il loro aspetto reale, ora finalmente mostravano il loro volto."[19]

 

Questa esperienza rappresentò il primo passo nel processo evolutivo che avrebbe portato, nel giro di pochi anni, alla creazione di forme teatrali del tutto originali:

 

 "Un teatro di strada, un teatro senza attori, un teatro in cui chiunque è attore, un teatro telefonico, porta a porta, un teatro epistolare, e così via."[20]

Seguendo questo percorso il Tenjô Sajiki è arrivato a produrre spettacoli in cui gli unici attori erano costituiti da gente comune che "recitava" seguendo a soggetto un copione costituito da alcune lettere che ricevevano a casa.


"Questo tipo di "teatro epistolare" è stato "recitato" nell'aprile del 1975 basandosi sugli abitanti del quartiere Suginami di Tôkyô.

Il "teatro" era stato suddiviso in sette tipi:

 - "Far incontrare degli sconosciuti";

 - "Copioni fatti recitare a famiglie contattate per posta";

 - "Vita quotidiana dei singles di mezz'età";

 - "Lettere inviate ogni giorno alla stessa ora dal solito ignoto";

 - "Preannunciare la propria visita della settimana successiva";

 - "Cartoline postali di auto-presentazione un gruppo per volta", e così via.

Per esempio nella performance, "Tutti insieme" 50 famiglie di una data regione vengono contattate con il seguente messaggio: "Abbiamo in custodia i vostri oggetti smarriti. Per poterveli restituire, dovrete portare con voi il vostro timbro personale[21] e questa cartolina, e venire a prendere la successiva.

20 Aprile del cinquantesimo anno dell'era Shôwa, ore 13.

Parco di Tôritsu Senfuku Teragawa nel quartiere di Suginami,  centro di restituzione oggetti smarriti, direttore dell'ufficio restituzioni."

Così in una serena domenica pomeriggio, le persone venute a riprendersi i loro "oggetti smarriti" si radunarono nel parco.

Arrivate nel posto concordato non trovarono nessuno, solo una scrivania e una sedia.

Gli ignari, arrivati a questo punto iniziarono a pensare ai loro oggetti smarriti, e si lambiccavano il cervello cercando di ricordare cosa potessero aver perduto.

Questo teatro trasforma le persone che si sono avviate dalle loro case rimuginando sui loro oggetti smarriti in personaggi: è un monologo a soggetto.

Ristabilita l'armonia tra esperienza immaginaria e vita reale, il teatro nasce dalle riflessioni fatte su questi oggetti smarriti.

 

Osservando gli spettacoli rappresentati dal Tenjô Sajiki si ha la sensazione che essi siamo collegati, nella loro eterogeneità, da un sottile denominatore comune. Esso è costituito dalla forte personalità di Terayama che ha impresso alla compagnia e ai loro spettacoli la sua qualità di mago e manipolatore della realtà. La drammaturgia di Terayama  pone le sue basi proprio sull'invasione della realtà da parte della finzione.

L'enorme importanza rivestita da Terayama all'interno della compagnia è sottolineata dallo scioglimento del gruppo due mesi dopo la scomparsa di quest'ultimo.

 

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CAPITOLO 9 

TERAYAMA VISTO DALLA CRITICA OCCIDENTALE

 

Data l'importanza rivestita, nella carriera teatrale di Terayama, dalle tournée all'estero è opportuno dare uno sguardo di insieme agli articoli di critica, scritti riguardo ai suoi spettacoli, pubblicati sia dai quotidiani sia dalle riviste teatrali.

Risulterebbe estremamente arbitrario riassumere i vari articoli o anche le singole opinioni su determinati aspetti delle rappresentazioni del Tenjô Sajiki redatti dalla critica occidentale. Questo perché, molto spesso i critici, hanno espresso il loro parere in maniera molto concisa, con frasi che lasciano adito a diverse interpretazioni. Risulta pertanto maggiormente opportuno riportare alcuni brani significativi, così come sono stati stesi dai loro autori.

Gli articoli a nostra disposizione abbracciano un arco di tempo che va da 1969 - anno in cui il Tenjô Sajiki effettuò la sua prima apparizione internazionale agli Experimenta di Francoforte - al 1980, anno dell'ultima Tournée effettuata negli Stati Uniti.

 

Il primo degli articoli a nostra disposizione, in senso cronologico, è stato scritto da Giuseppe Bartolucci e pubblicato sulla rivista "Sipario" in occasione della terza edizione del festival Experimanta di Francoforte. Bartolucci, prima di inoltrarsi nella descrizione dei singoli spettacoli partecipanti al festival, traccia un quadro generale che aiuta a mette in luce l'immagine del 'nuovo teatro europeo' emergente dalla manifestazione. Questa analisi risulta molto interessante perché rispecchia, da un lato,  alcuni aspetti della situazione del teatro giapponese e contribuisce, dall'altro, a chiarire le ragioni del grande interesse suscitato da Terayama nel contesto della critica occidentale.


"La terza edizione di Experimenta 3 a Francoforte, [...] può essere classificata all'insegna della crisi della scena europea e non soltanto europea, nel momento in cui la consapevolezza dell'impossibilità di fare nuovo teatro al di dentro dei teatri si allinea con le difficoltà di agire in maniera nuova al di fuori dei teatri, intendendosi qui per nuovo una complementarità di materiali e di idee, su un'offerta radicalizzata non tanto di prodotto quanto di azioni."
[22]

Terayama portò al terzo Experimenta gli spettacoli "Inugami" e "Kegawa no Marî" (Maria delle pellicce)[23].

Il commento espresso da Bartolucci su questi spettacoli  si mantiene su toni abbastanza generici. Egli non specifica, infatti, neppure il nome degli spettacoli del Tenjô Sajiki, limitandosi a descriverne per sommi capi le caratteristiche salienti.


"[...] Lo spettacolo del Teatro Teniyo Sejiki
[24] di Tokio si configura come un'esperienza espansa. Il gruppo giapponese, per un verso, sul piano dell'eleganza mimetizza una influenza occidentale-americana, in virtù di un'associazione di sogni-fatti positivamente immaginaria; per l'altro verso, sul piano della verità, costruisce una parabola dove un tracciato parola-gesti estremamente preciso vien corredandosi di qualità popolari e di condizioni intellettuali. Ne viene una mescolanza di vecchio e di nuovo, di coltivato e di istintivo che costituisce la caratteristica più aperta e corretta del gruppo; ed è il loro stare assieme e capirsi, a provocare simpatia e conoscenza, addestramento e pienezza di vita. E' inevitabile a questo punto che ci ritorni innanzi lo spettro della crisi della scrittura scenica, nel momento del suo definirsi "intrinsecamente" al "di dentro", e cioè del suo occuparsi di derivazioni culturali e di significazioni sceniche, fidandosi della maggiore o minore consapevolezza di lavoro ed organizzazione di procedimento; è per altro chiaro che, per questo gruppo, non costituisce questa progettazione un alibi professionale, un'arma di difesa rispetto ad intenzioni di altri apparentemente radicali e poi smentite regolarmente dalla realtà. Qui riposa il meglio di Experimenta 3: in una elaborazione espansa della struttura scenica, fuori della tradizione del nuovo, pura e semplice, fuori anche dalla radicalizzazione che non sia mediata culturalmente, con una diffidenza del "di fuori" giustificabile, nella misura in cui il riferimento è ancora valido "di dentro"."[25]

Da questa relazione piuttosto nebulosa si possono estrapolare almeno due caratteristiche del Tenjô Sajiki apparse agli occhi di Bartolucci: la prima è il riscontro di un'associazione sogno-realtà quotidiana a cui l'autore dell'articolo attribuisce una derivazione "occidentale-americana"; in effetti, qualunque sia la sua derivazione, è senz'altro  presente nelle opere di Terayama, un uso molto frequente del binomio fantasia - realtà quotidiana. La seconda caratteristica rilevata in maniera sufficientemente evidente da Bartolucci è costituita dal connubio tra tradizione e novità e tra "coltivato" ed "istintivo", accettabili qualora, per "coltivato ed istintivo", Bartolucci abbia inteso: "studiare una strategia" e, al tempo stesso, "lasciare ampio spazio all'improvvisazione".

Franco Quadri a proposito della partecipazione di Terayama al terzo Experimenta nota che la sua apparizione non suscitò in maniera evidente l'attenzione della critica occidentale. L'apparizione sulla scena europea che rivelò Terayama e la sua compagnia risale, a quanto afferma Quadri, al 1973. In quell'anno il Tenjô Sajiki portò al Festival di Nancy, e successivamente in tournée nelle altre maggiori città europee, lo spettacolo Jashûmon (gli eretici).


"L'apparizione di Terayama al Festival di Nancy nel '73 si può paragonare al boom di Rashomon che rivelò nel '51 il cinema giapponese, imponendosi alla Mostra di Venezia. Del teatro giapponese, prima di allora, non si era mai visto in occidente nessun lavoro che esulasse dalle forme canoniche  del kabuki e del . [...] E' a Nancy che [Terayama] viene  elevato a fenomeno, aprendo anche la strada europea alla scena nipponica; e da allora si può cominciare a costruire una sua storia che si allaccia con la nostra."
[26]

In ogni caso bisogna ricordare che quella agli Experimenta di Francoforte non fu la prima rappresentazione di Jashûmon in Europa. Già nel 1971 la compagnia del Tenjô Sajiki aveva rappresentato questa stessa pièce a Belgrado, nel corso della quinta edizione del BITEF (festival internazionale del teatro di Belgrado). Segue il resoconto dello spettacolo, pubblicato da Peter Ansorge sulla rivista Plays and Players.


"[...] A show I don't intend to skip, turned out to be the performance most in tune with Belgrade's high expectations of their visiting companies. The controversies raging in the city were all but forgotten as the Yugoslavs gave vent to their enthusiasm for a startling production that had originated in, of all places, Tokyo. [...] The Tenjô Sajiki troupe led by the healthy  and smiling Japanese director Terayama Shûji. These Orientals have declared war on the traditional Japanese theatre (Terayama says he doesn't understand the word 'tradition') and are practically outlawed in Tokyo."
[27]

 

Contrariamente a quanto sarebbe avvenuto al festival di Nancy due anni più tardi, a prescindere dal parere favorevole espresso dalla critica, l'accoglienza ufficiale da parte dell'ambasciatore giapponese che Terayama ricevette a Belgrado non fu tra le più calorose.


"Unlike the American and English groups at BITEF 5 Terayama's troupe had received no backing for its Belgrade visit. The Japanese ambassador in Belgrade refused to acknowledge Terayama's existence in Yugoslavia. One reads Terayama once organised a performance in Tokyo that led to the police chasing actors and audiences through the streets as part of the show."
[28]

L'episodio di questo piccolo 'incidente diplomatico' tra il Tenjô Sajiki e l'ambasciatore giapponese, verificatosi in un paese straniero, rende ancora  più stridente il contrasto tra il trattamento che Terayama ricevette in patria e quello che godette all'estero. E  sottolinea, una volta di più, i problemi che già nel 1971 Terayama potesse incontrare nell'allestimento di spettacoli in Giappone.

Per tornare alla rappresentazione di Jashûmon, è interessante confrontare il resoconto dello spettacolo rappresentato a Belgrado, scritto da Ansorge, con quelli dello stesso Jashûmon rappresentato a Nancy, redatti da Franco Quadri ed Alan Seymour.

 

Ansorge descrive lo spettacolo di Belgrado nei seguenti termini:


"Terayama's production of Heretics at Belgrade began from the moment that the audience entered the normally inviting auditorium of the Atelje 212. In pitch blackness, with incense smouldering  from the stage, the well-dressed and confused Belgrade public tried vainly to find their right seats. It wasn't only the darkness that made this a problem - actors dressed as black-robed puppeteers were stalking rather ominously with threatening white sticks over and on top of the seats."
[29]

 

La descrizione della prima parte dello spettacolo effettuata da Ansorge concorda con quanto riportato da Quadri. Anche se quest'ultimo tende a sottolineare maggiormente l'aspetto bellicoso dello spettacolo.

 

"Jashûmon imponeva soprattutto l'immagine di una cerimonialità violenta e aggressiva fino allo scandalismo, già dall'inizio quando gli spettatori, provati dalle ore passate in coda per guadagnarsi il posto, si trovavano immersi in una sala solo flebilmente rischiarata da poche candele, minacciati dalle imprevedibili scorrerie di gruppi di omini seminvisibili, gli attori tutti in nero scatenati in piena azione nei corridoi di platea. E poi prima che potessero riprendersi, questi spettatori erano sottoposti a bombardanti attacchi concentrici alla loro sensibilità, tali da tenere in costante allarme [...]"[30]

Riguardo a queste brusche sollecitazioni, rivolte a mantenere sempre vigile l'istinto di conservazione del pubblico, scrive in maniera molto colorita anche Alan Seymour.


"'Fascism' is a term so used one tries not to use it, but a more naked example of it would be hard to find, for this is the almost pure example of a group imposing its 'philosophy' by outright force. It is too facile to say, as some apologists have said, that the group members are also 'hard on themselves' during performances."
[31]

La descrizione del seguito dello spettacolo, grossomodo, coincide in tutte e tre le versioni. L'articolo di Peter Ansorge è tra i tre quello più accurato e preciso, include tra l'altro una spiegazione storica all'uso dalla figura degli eretici.


"On the stage a girl was being crucified to throbbing music and an orgiastic red light. Terayama's show describes the pangs of a group of heretics who were suppressed by the Japanese government two centuries ago for seeing 'visions'. The puppeteers, borrowed from the Bunraku, represent the authorities who are out to control and stamp on the visionaries. But the troupe uses every means, modern and traditional, to conjure up their enthralling visions.  A boy moves through the auditorium, climbing over seats and people, in pitch dark with only a yellow lantern to guide him. As he reaches the stage we see his mother's shadow on a screen. Then to rock  music and a dazzling strobe light we see him attacking an imprisoning the old woman. Meanwhile a Lady Macbeth figure prances round a witch's cauldron. The production is highlighted by the weirdest music, a compound of rock and old Japanese sounds - and a quartet of frightening tapestries are frequently illuminated in the darkened theatre to underline  the atmosphere of frenzy and torture. The heretics have a final song when the incense  is let out of the theatre - for which the Atelje's sliding roof came in for a very appropriate round of applause, as it opened to let  in fresh air  and a starlit night sky. At the climax the actors take down all the scenery and speak to the audience with their own personalities - of the need to destroy every form of authority. All this would be distressingly familiar were it not  for the fact that Terayama has related these old heretics of Japanese tradition to the world's modern heretics, perhaps to the problems of his own theatre troupe in Tokyo, by casting contemporary sounds, lighting and characters against the background of a formal Japanese narrative. It would certainly be worth seeing the impact of this troupe at our own World Theatre Season, rather than another well-intentioned but predictable week of all those  Kabuki and Noh techniques - which may make for interesting, but hardly relevant theatre."
[32]

Una nota degli incidenti causati nel corso delle rappresentazioni di Jashûmon in Germania è riportata molto diffusamente dallo stesso Terayama in, Engeki Ronshû. (Vedi pagg. 156-176).

Oltre a Jashûmon, il Tenjô Sajiki rappresentò a Nancy il suo primo spettacolo di strada, Ninriki Hikôki Saromon (L'aereo Salomone a propulsione umana). Questo spettacolo si proponeva di generare, all'interno di una qualsiasi nazione, un nuovo stato nel giro di dieci ore a partire da una piantina di mele, "Il passato è irreale".
 La rappresentazione, purtroppo, fu rovinata in parte dal maltempo. Nonostante le avversità atmosferiche, comunque, lo spettacolo riuscì a compiere il proprio corso.


"[L'aereo Salomone a propulsione umana] spostava del tutto il suo campo d'orizzonte, cercando di inventare mediante il moltiplicarsi avvolgente degl'interventi degli attori il secondo piano di una quotidianità costruita accanto e attorno al procedere normale della vita della città: "A poco a poco si crea sotto i nostri occhi un paese che non esiste, con le sue leggi, che avrà dieci ore di esistenza sull'asfalto. [...] In realtà nei misteriosi giochi cifrati di quell'invasione gialla si leggeva la parentela con certe provocazioni neodadaiste del gruppo Fluxus di New York. E nella pianificazione pedante dell'event non arrivato a realizzazione ma comunque esistente in quanto predeterminato con precisione sulla carta, si poteva cogliere una implicazione concettuale vicina all'operatività di alcuni artisti più vicini a noi nel tempo."
[33]

 

La successiva rappresentazione del Tenjô Sajiki di cui possediamo un resoconto scritto da parte della critica occidentale risale al 1975, quando Terayama e il suo gruppo rappresentarono, all'auditorio dell'Athenée Français, Môjin Shokan (Una nota di un cieco).
Con questa opera Terayama esplora le possibilità offerte dal buio durante la rappresentazione scenica.

Vediamo il resoconto di questo spettacolo, riportato da Patricia Marton.


"In Blind Man's Letter, Shûji Terayama continues his experimentation in breaking away from the classical theatrical space. [...] The intent of the play was to show that light exists within darkness - in this case, blindness. An actor from Terayama's Tenjô Sajiki  expressed the feeling of the piece at one point by saying: "Don't look with your eyes, look with your whole self." The  strands of the "story", more like visual poetry, developed around the slight theme of a blind child who is abandoned by its mother, later confronting her when an adult, after being raised by blind amma or masseurs."
[34]

Anche in questo caso l'aspetto che, maggiormente viene sottolineato dalla critica è costituito dalla stravaganza dei metodi usati e dal contatto piuttosto movimentato con il pubblico.


"Phosphorescent images, glowing like jewels, radiated about  the darkened room (representing a labyrinth) between periodic blackouts. The spectators, packed shoulder-to-shoulder between the various eye-level and overhead acting areas, were forced to be continually alert to absorb this battery of vignettes. [...] At one point an actress was flung off the hanamichi, breaking the nose of one of the spectators with the impact of her head. [...] Five white-garbed amma standing for the blind man, first appearing on a side platform in dirge-like music, they served as a motif throughout, crawling about the auditorium, often  shouting and holding candles and matches in the eyes of the audience."
[35]

 

L'analisi compiuta dalla Marton risulta attenta e puntuale. Riesce difatti a rintracciare alcuni dei punti chiave della tematica teatrale di Terayama ed in particolare la Marton compie osservazioni molto pertinenti riguardo il rapporto tra realtà e finzione e riguardo la volontà di ottenere l'indipendenza degli attori da autore e  regista.

 

"During these periods, Terayama and his stagehands (stationed behind a screen near the entrance) exchanged  instructions volubly - "breaking the boundaries between fiction and reality". [...] the cast and crew did not confine themselves to the playing areas or backstage for the same reason, but roamed about, continuing Terayama's policy of harassing the audience via "coincidental confrontation." At one point, a stagehand  sat down on this writer and refused to move; after repeated efforts, verbal and physical, she finally managed  to shove him off."[36]

Môjin Shokan appartiene alle opere ideate nel corso della prima fase di sperimentazione compiuta dal Tenjô Sajiki; in questo periodo il testo, sui cui si basava lo svolgimento della rappresentazione, aveva ancora un ruolo dominante. E' interessante riportare anche la descrizione delle scene dello spettacolo, ricche di simboli e astrazioni.


"After [the ammas] initial entrance a tall man in black top hat and frock coat trod slowly down a hanamichi, which stretched the length of the auditorium. At its far end, a nude woman flashed subliminally in and out a trapdoor, while a man cycled torpidly on an overhead ramp. To the left of the hanamichi, on a low platform, a transparent tomb containing white-faced immobile figures like broken dolls was lit from within; the amma then took it apart. A girl in blue body paint crouched inside a glistening red case  on a smaller platform nearby, while toward the front stage, two uniformed schoolgirls played cat's cradle with a piece of elastic. Then a girl in pink kimono (the blind child grown to adulthood) advanced somnolently through a structure of silver blocks to chanting music, confronting her purple-kimonoed mother in the center of the hanamichi. (Here the irate mother enveloped her child with a web of paper streamers similar to that tossed by the villainous spider in the Noh and Kabuki dance-dramas.) Afterwards, the girl writhed to a palpitating lavender light. Suddenly, an apocalyptic vision of supernatural creatures bathed in red and blue spotlights appeared to her side. In the dreamlike finale, cast and crew gathered together on a front platform engulfed by clouds of white smoke. (The smoke also filled the auditorium, causing many in the audience to choke.) a musical background combining electronic sounds, old instruments, and a wailing chorus rose and fell throughout the performance, adding to the desolate and eerie mood."
[37]

In contrasto con questa descrizione appare la sintetica analisi di Franco Quadri, il quale liquida questo spettacolo limitandosi a dichiarare che esso si basa sull'assenza vera e propria della rappresentazione, per un pubblico "rinchiuso in un ambiente da cui avrebbe cercato fin dal principio di uscire, per trovarsi invece imbottigliato, a gruppi o singolarmente, in una serie di situazioni labirintiche." In questo caso, l'attenzione di Quadri è puntata essenzialmente sull'ambiente claustrofobico, senza il fornire il minimo accenno alle qualità strutturali e semantiche della rappresentazione.

 

Molto interessante appare la descrizione dello spettacolo Ahô Fune (La nave dei pazzi), rappresentato dal Tenjô Sajiki all'ormai estinto Festival di Shiraz, nel 1976. Sebbene Ned Chaillet, autore dell'articolo apparso sulla rivista "Plays and Players", tenda inizialmente a leggere gli aspetti più violenti di questa rappresentazione in chiave artaudiana (l'articolo di Chaillet è scritto inquadrando Artaud come filo conduttore, unificante tutti gli spettacoli rappresentati a Shiraz nel corso del Festival del '76), egli conduce, in seguito, un'analisi critica della rappresentazione concisa ma, al tempo stesso, ricca di spunti e di riferimenti che concordano con gli effettivi obiettivi e le effettive intenzioni di Terayama nei confronti del pubblico; se possiamo basarci, per poter giudicare, sullo studio delle sue teorie teatrali riportate in Engeki Ronshû.

 

"More successful as an Artaudian experience was Terayama's  Ship of Fool, which again committed many of its cruelties through decibel amplification, this time of Japanese rock'n'roll, but the odd, personally symbolic, actions had a hypnotic effect, and it was that production which drew people back again and again to witness its tricks."[38]

Sempre nello stesso articolo, segue una considerazione molto importante, fondamentale per poter comprendere il teatro di Terayama: sarebbe del tutto inutile eseguire una lista delle azioni che si susseguono in sala poiché ciò che conta nell'opera di Terayama non è la trama in sé, bensì l'effetto che essa provoca sul pubblico. La  reazione emotiva del pubblico è del tutto indipendente dalla trama dello spettacolo, essendo essa cagionata piuttosto dalle sollecitazioni visive e soprattutto sonore a cui gli spettatori sono incessantemente sottoposti.

Risulta interessante anche il parallelo con la produzione cinematografica di Terayama, tessuto da Chaillet, riguardo al ribadimento di alcuni temi ossessivi.


"As in his films, he turns to themes of violent personal liberation, but presents characters who are dolls, or who are manipulated by black-hooded puppeteers. [...] When we see personal revolutions they promise no peace: when a man who is continually falling asleep murders his sleeping  self he is robbed of sleep."
[39]

Estremamente interessante risulta anche l'analisi conclusiva.


"Terayama presents personal confusions disguised as beliefs but the overriding theatricality of his work gives his productions a vivid life and the questionable intellectual content becomes irrelevant in the chaos of events. Although derivative, he is a major talent as a director; his skills include a wonderful manipulation of space, and a contemptuous manipulation of audience. But one can depart from the flames, noise and violent imagery of his work with some sense of having witnessed a nightmare, and with memories which do not go away."
[40]

Il commento palesemente positivo di Chaillet si conclude con una nota di rammarico per il fatto che un'artista come Terayama non fosse ancora apparso in Inghilterra.

L'ultimo spettacolo del Tenjô Sajiki di cui abbiamo a disposizione materiale critico occidentale è Nuhikun, tradotto in inglese come Directions to Servants, facendo un chiaro riferimento all'omonima opera di Jonathan Swift. In effetti, nella stesura di questo suo capolavoro Terayama si era ispirato, sia pur molto liberamente, a Swift - autore che egli amava moltissimo per la sua pungente e dissacrante ironia. Già in precedenza egli si era ispirato ad un'utopia swiftiana, nell'opera Cloud Cuckooland.

Prima di passare ad esaminare l'opinione della critica occidentale, ritengo opportuno prendere visione della dichiarazione dello stesso Terayama riguardo al debito di quest'opera nei confronti di Swift, rilasciata nel corso l'intervista concessa a Kitagawa Takanobu.


"Spesso mi viene imputata un'influenza da parte di Swift ma questa affermazione non ha ragione di esistere. Questa affermazione si chiarisce leggendo Nuhikun. Esso rappresenta una sorta di frutto germogliato da alcuni appunti presi da Swift. Nello spettacolo mancano quasi del tutto delle analogie con questo autore. La questione che egli abbia inteso lasciare un precetto alla servitù, cioè che egli abbia scritto il romanzo con il proposito di impartire dei comandi è del tutto assente. Perché a quell'epoca il suo lavoro era subordinato alla sua posizione, l'unico modo per sopravvivere era quello di adulare un potente.  [...] Directions to Servants è un romanzo costituito da molti brevi episodi, ho pensato di prendere spunto da due o tre di questi, e di ampliarli secondo le nostre esigenze. In una situazione in cui il padrone è assente come nel caso di  Nuhikun; o ancora una in cui manca del tutto una ragione, come in Remingu Kabenuke no Otoko; oppure nel caso di una assoluta mancanza del centro come in Cent'Anni di Solitudine, il problema centrale si può correlare alla posizione della gente comune nei confronti del nucleare. La gente è divisa tra l'orrore e l'attrazione nei confronti di questa energia in grado di sterminare un numero enorme di persone con una sola arma.
Quello riguardante il nucleare è un grande problema. Non è così facile risolverlo. Perché se il nucleare venisse eliminato allora si dovrebbero eliminare anche la ragione, la legge, e il linguaggio. Sarebbe come se andassimo ad assistere ad un incontro di catch in cui l'arbitro, invece di rappresentare la giustizia, si distraesse in continuazione guardando altrove e alla fine decidesse il verdetto attribuendo la vittoria a caso."
[41]

Da questa dichiarazione, peraltro piuttosto nebulosa, si capisce che, indipendentemente da Swift, Terayama intendeva esplorare la situazione di 'assenza del Padrone', che fosse esso una persona fisica, sia un'energia, desiderabile e funesta al tempo stesso, quale può essere l'energia atomica.

Dopo questa premessa riguardante il punto di vista soggettivo dell'autore, passiamo ad esaminare le impressioni che Nuhikun suscitò in occidente.

Le fonti a cui è possibile risalire sono due: la prima è una fonte italiana; risale al 1979, anno in cui il Tenjô Sajiki portò questo spettacolo al Festival dei due Mondi di Spoleto. L'altro articolo è stato pubblicato su TDR nel 1981, in occasione dell'ultima tournée di Terayama negli Stati Uniti.

L'articolo di Gianni Manzella pubblicato sul Manifesto il 15 luglio 1979, in occasione della partecipazione di Terayama al festival di Spoleto, si sofferma soprattutto sulla descrizione delle azioni che si susseguono in Nuhikun. Leggendo questo brano si ha l'impressione che esso sia dirottato verso una chiave di lettura che dà adito a considerazioni eccessivamente legate  ad 'un'ideologia di sinistra':

 

"All’origine c’erano le ‘Istruzioni ai servi’ di Jonathan Swift, quasi un “manuale di sabotaggio ad uso delle classi subalterne” che qualcuno, chissà perché, legge in chiave aristocratica e un po’ reazionaria, forse perché l’editore postumo si cautelava indicandone lo scopo nell’esporre ‘Le scelleratezze e gli inganni’ dei servitori verso il padrone. [...] All’origine dello spettacolo che S. Terayama ha portato al festival di Spoleto, Directions to Servants, appunto, sta questo testo di Swift. Quelli sono i protagonisti, maggiordomi, cuochi, valletti, cocchieri, stallieri, cameriere, lavandaie, governanti, bambinaie e lo stesso Swift, almeno pare, che se ne sta immobile su un palchetto a sognare più che a scrivere. Ma qui finiscono anche gli agganci diretti. Questi servitori seminudi e con la testa rasata, una volta richiusasi alle lor spalle la porta pesante che sta sul fondo, si trovano reclusi in un antro claustrofobico, sotterranei del palazzo o camere della servitù, che inevitabilmente rinviano a de Sade e a Von Masoch. Strumenti di tortura sono certo le “macchine inutili” vagamente duchampiane che qua e là appaiono sulla scena, come quella che proprio all’inizio sembra capace di trasformare in padrone l’uomo nudo, applicandogli baffi e altri accessori, o quella che prende a calci il ‘servitore’ agli ordini della voce del ‘padrone’ che proviene da un registratore.

Perché il padrone è assente, o forse nascosto tra i servitori stessi, che a turno ne assumono le vesti e le funzioni, lo cercano con un metodo classico del tempo di Cenerentola, quello della scarpa che va bene soltanto a lui.
[...]Se per anni il gruppo di Terayama è stato indicato come il Living giapponese, questa volta la ricerca di facili ed improbabili somiglianze ha tirato in ballo l'inglese Lindsay Kemp. Ecco infatti che le luci porporine, le abbondanti fumigazioni (poco importa che di zolfo e non di incenso si tratti), qualche caduta verso un clima mistico e rituale. Eppure questi effettacci Terayama sa usarli con un buon cinismo, che imbriglia anche il pubblico in quella schiavitù teatrale.”
[42]

 

L'articolo di Maria Myers pubblicato su TDR riporta le note introduttive scritte dallo stesso Terayama inserite nel programma.


"What I hope to describe in this play is the present situation of the world, marked by the 'absence of the Master.' Our revolt is not against the absent Master. 'My enemy is myself.' 'Your enemy is yourself.' 'Every one can be a Master for 15 minutes.' But when servants try to kill their absent Master, their venom and hatred create an image of Hell."
[43]

Anche la Myers non può fare a meno di notare la derivazione da Jonathan Swift ribadendo, comunque, che il tema centrale in Terayama è costituito dall'assenza del Padrone e dalle inevitabili conseguenze sui servi della  mancanza di questa figura.


"La tragedia non è costituita dall'assenza del Padrone ma dal fatto che i Servi necessitano di un Padrone."
[44]

 

L'articolo della Myers costituisce una descrizione molto precisa e circostanziata dell'intero spettacolo, illustrato meticolosamente scena per scena. Naturalmente non è possibile riportare in questa sede l'intera descrizione. I brani che seguono sono  comunque sufficienti a fornire un'idea più chiara dello spettacolo.


"Directions to Servants is a play of images created through the use of exaggerated theatrical elements: sounds, makeup, costumes, props (including machines as extensions of physical man), lighting, and at time nonsense dialog. [...] Aural assaults through language, music and sound - human and electronic - are augmented with visual images. The circle of light dominates. Terayama defines a single pool of light as a metaphor for order; whenever there is more than one circle, confusion ensues and chaos results. [...]
The entire theatre space represents the mansion. Sixteen actors each of whom represents a specific servant category, are the main characters, which include a sleeping man, a human dog and a crazy woman who believes she is the mistress. In the introduction to the program notes the possibility is suggested that the real Master may be among the servants, playing at being a servant. [...]
Several props consist of intricately designed, finely hand-crafted machines that serve simultaneously as extensions or incorporations of the physical body and as instruments of torture. [...] The machine is a metaphor for man's subordinate condition. [...]
The only prop seen throughout the performance is the Master's shoe. It is a three-layered red-and-gold representation of a mouth and tongue; i.e., the word-maker. Whoever is the possessor of this shoe becomes the temporary Master of the mansion. [...] Elements of overt eroticism, sadomasochism and scatology appear in Directions to Servants. The production's images in themselves have little meaning; the intention is neither the interpretation of an idea nor the transfer of information. Rather, the theatrical elements become explorations of the mysterious, the incongruous."
[45]

Penso sia opportuno ribadire che sarebbe molto complicato fornire una descrizione dettagliata della totalità di quanto è stato scritto dalla critica occidentale riguardo le opere che Terayama ha rappresentato in Europa e in America; molto spesso inoltre il reperimento del materiale è molto complicato, trattandosi di articoli pubblicati su quotidiani stranieri oltre venti anni fa. Pertanto questo capitolo va inteso come una prospettiva generale della maniera in cui la critica ha accolto questo gruppo di uomini provenienti da un paese reso spesso ancora più remoto dai pregiudizi e dai luoghi comuni.

Rielaborando i dati fin qui raccolti possiamo dire che la reazione all'avvento del Tenjô Sajiki nei teatri occidentali è stata duplice: da una parte l'accoglienza del pubblico che, dopo un iniziale entusiasmo (dimostrato dalle lunghissime file ai botteghini e dai biglietti esauriti), rimaneva affatto sbigottito e in qualche caso addirittura leso fisicamente da un tipo di spettacolo che tendeva a porre lo spettatore allo stesso livello dell'attore e non risparmiava il pubblico da atteggiamenti violenti, dall'altra, al contrario, la critica ha quasi all'unanimità osannato Terayama come un genio che, partendo da effetti ed espedienti anche di bassa lega  (i quali non sono che mezzi fisici di per sé privi di valore) arriva, grazie alla mediazione del subconscio, a un risultato finale che costituisce una grande magia, in cui egli, nelle vesti di mago-manipolatore, riesce a cambiare la realtà quotidiana, infondendole la vaga sostanza dei sogni.

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[1]Da Kitagawa Takanobu, "shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[2]Da Kitagawa Takanobu, "shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[3]Da Kitagawa Takanobu, "shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[4]Da Kitagawa Takanobu, "shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[5]Da Kitagawa Takanobu, "shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[6]Da Kitagawa Takanobu, "shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[7]Da Kitagawa Takanobu, "Shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[8]Nel testo originale Kajiya.

[9]Da Terayama Shûji, "Engeki Ron Shû", Kokubunsha, 1992.

[10]Takatori Takeshi, "Terayama Shûji ron", Shichôsha.

[11]Kitagawa Takanobu, "Shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[12]Franco Quadri, "Il teatro degli anni settanta - Invenzione di un teatro diverso.", Einaudi 1984.

[13]Terayama Shûji, "Engeki Ronshû", Kokubunsha, 1992.

[14]Terayama Shûji, "Engeki Ronshû", Kokubunsha, 1992.

[15]Terayama Shûji, "Engeki Ronshû", Kokubunsha, 1992.

[16]Naniwabushi = nome di una forma di spettacolo di massa. In cui un attore raccontava con strofe molto facili da comprendere accompagnato dallo shamisen.

[17]Kitagawa Takanobu, "Shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[18]Kishida Rio in, AA.VV. "Gendai shi no techô. 11 gatsu kanji sôkan", novembre 1983.

[19]Terayama Shûji, "Engeki Ronshû", Kokubunsha, 1992.

[20]Terayama Shûji TERAYAMA S. NO GEIJUTSU RONSHû - Pafômansu no majutsushi, Shichôsha, 1985.

[21]Ogni giapponese possiede uno speciale timbro con le proprie iniziali in caratteri cinesi esclusivamente personale e con valore legale con cui, ad esempio, timbra il proprio cartellino di presenza in ufficio.

[22]G. Bartolucci in, "Sipario", n° 278-279, Milano, giugno-luglio 1969.

[23]Il titolo di questo spettacolo è stato tradotto in francese dallo stesso Tenjô Sajiki come 'La Marie Vison'

[24]Ho mantenuto la traslitterazione usata nell'originale.

[25]G. Bartolucci in, "Sipario", n° 278-279, Milano, giugno-luglio 1969.

[26]F. Quadri, "Il teatro degli anni '70 - Invenzione di Un Teatro Diverso", Einaudi, 1984.

[27] "Uno spettacolo che non intendo omettere, destinato ad essere la performance più in sintonia con le grandi aspettative di Belgrado nei confronti delle compagnie ospiti. Le controversie sorte in città furono completamente dimenticate non appena gli iugoslavi diedero libero sfogo al loro entusiasmo per una sbalorditiva produzione che aveva avuto origine, tra tutti i posti possibili, proprio a Tôkyô. [...] La compagnia del Tenjô Sajiki guidata dall'aitante e sorridente regista giapponese Terayama Shûji. Questi orientali hanno dichiarato guerra al teatro tradizionale giapponese (Terayama dichiara di non comprendere la parola 'tradizione') e a Tôkyô sono praticamente fuorilegge." (P. Ansorge in, "Plays and Players", London, 1971 November)

[28]"A differenza dei gruppi inglesi e americani al BITEF 5 la compagnia di Terayama non ha ricevuto nessun sostegno per la sua visita a Belgrado. L'ambasciatore giapponese a Belgrado si rifiutò di riconoscere la presenza di Terayama in Yugoslavia. Si legge che una volta Terayama organizzò a Tôkyô uno spettacolo che indusse  la polizia ad inseguire attori e pubblico per le strade come parte dello show."   (P. Ansorge in, "Plays and Players", London, novembre 1971.)

[29] "La produzione di 'Gli Eretici a Belgrado iniziò nel momento in cui il pubblico entrava nell'auditorio dell'Atelje 212, solitamente invitante. Nell'oscurità più totale, con il fumo dell'incenso che si propagava dal palco, il pubblico di Belgrado, ben vestito e confuso, cercava in vano di trovare il proprio posto. Non era soltanto l'oscurità a creare problemi, attori vestiti di nero come burattinai avanzavano lugubremente con minacciosi bastoni bianchi sopra e in cima alle poltrone."    ( P. Ansorge in, "Plays and Players", London, novembre 1971.)

[30]F. Quadri, "Il teatro degli anni '70 - Invenzione di un Teatro Diverso", Einaudi, 1984.

[31] "Fascismo è un termine così abusato che si cerca di non usarlo, ma sarebbe difficile trovarne un esempio più esplicito, poiché questo è l'esempio pressoché puro di una compagnia che impone la propria 'filosofia' per mezzo della forza palese. È troppo facile dire, come hanno fatto alcuni apologeti, che i membri della compagnia, nel corso degli spettacoli, anche verso se stessi.  (A. Seymour in, "Plays and Players", London, 1973.)

[32] "Una ragazza veniva crocefissa sul palco sotto una musica vibrante e un'orgiastica luce rossa. Lo spettacolo di Terayama descrive le peripezie di un gruppo di eretici che furono repressi dal governo giapponese due secoli fa per il fatto di avere delle 'visioni'. I burattinai, ripresi dal Bunraku, rappresentano le autorità che controllano e reprimono i visionari. Ma la compagnia usa ogni mezzo,  moderno o tradizionale, per evocare le proprie affascinanti visioni. Un ragazzo si sposta per l'auditorio, scavalcando poltrone e persone, nel buio pesto guidato solo dalla luce di una lanterna. Non appena raggiunge il palco su di uno schermo appare l'ombra di sua madre. Poi lo vediamo attaccare ed imprigionare una vecchia sotto una musica rock e un'abbacinante luce stroboscopica. Nel frattempo una figura alla Lady Macbeth armeggia attorno ad un calderone. L'opera è sottolineata dalla musica più bizzarra, un insieme di rock e vecchi suoni giapponesi - e un quartetto di orripilanti arazzi viene illuminato di frequente nel teatro immerso nell'oscurità per sottolineare l'atmosfera di frenesia e tortura. Gli eretici intonano una canzone finale quando l'incenso viene lasciato fuoriuscire dal teatro - per cui il tetto scorrevole dell' Atelje riceve una dovuta girandola di applausi , appena viene aperto per far entrare l'aria fresca e un cielo stellato. Al culmine gli attori smantellano la scenografia e si rivolgono al pubblico con le proprie personalità - della necessità di distruggere ogni forma di autorità.
Tutto ci
ò sarebbe penosamente familiare non fosse per il fatto che  Terayama ha messo in relazione questi antichi eretici della tradizione giapponese agli eretici moderni di tutto il mondo, forse ai problemi della sua stessa compagnia a Tôkyô, nell'allestire  contemporaneamente suoni, luci e personaggi contro il background di una narrativa giapponese formale. Varrebbe senz'altro la pena di vedere l'impatto di questa compagnia alla nostra World Theatre Season, invece di un'altra ben intenzionata ma prevedibile settimana di quelle tecniche Nô e Kabuki - che sarà pure interessante, ma difficilmente risulterà un teatro rilevante   (P. Ansorge in, "Plays and Players", London, 1971 November.)

[33]F. Quadri, "Il teatro degli anni '70 - Invenzione di un Teatro Diverso", Einaudi, 1984.

[34] "In 'Lettera di un Cieco', Terayama Shûji, continua nelle sue sperimentazioni per liberarsi dello spazio scenico classico. [...] Lo scopo dell'opera era quello di mostrare che può esserci luce anche nell'oscurità - in questo caso nella cecità. Il sentimento della piéce viene espresso da un attore del Tenjô Sajiki quando dice ad un certo punto: 'Non guardare con i tuoi occhi, guarda con tutto te stesso.'
I fili della 'storia', pi
ù simile a poesia visuale, si sviluppano intorno al fragile tema di una bambina cieca abbandonata dalla madre; in seguito, una volta divenuta adulta, si confronta con lei dopo essere stata allevata da degli amma, ovverosia massaggiatori ciechi."  (Patricia Marton in, "TDR", n° 65, New York, 1975.)

[35] "Immagini fosforescenti, sfavillanti come gioielli, emettevano bagliori nella stanza oscurata (che rappresenta un labirinto) intervallate da periodici black-out. Gli spettatori, pressati spalla a spalla, tra i vari livelli visivi e la sovrastante area d'azione, erano costretti ad un continuato stato di allarme da una batteria di vignette. [...] Ad un certo punto un'attrice venne scaraventata giù dalla hanamichi, fratturando il naso ad uno spettatore con l'impatto della testa. [...] Cinque amma vestiti di bianco rappresentanti il cieco, apparendo inizialmente a un lato della piattaforma in una musica simile ad una litania funebre, servivano come motivo per tutto lo spettacolo, brancolando per l'auditorio, spesso gridando e agitando candele e cerini negli occhi del pubblico."  (Patricia Marton in, "TDR", n° 65, New York, 1975.)

[36]"Durante questi periodi, Terayama e i suoi tecnici di palco (appostati dietro uno schermo situato presso l'entrata) si scambiavano animatamente istruzioni - "infrangendo i legami tra realtà e finzione". [...] Il cast ed i tecnici, per la stessa ragione, non si limitavano a stare sull'area scenica o sul retroscena, ma vagavano intorno, proseguendo la politica di Terayama di molestare il pubblico tramite il 'confronto casuale'. Ad un certo punto un'assistente si è seduta sulla sottoscritta e non voleva più muoversi; dopo ripetuti sforzi, verbali e fisici, si è finalmente decisa a scostarsi."   (Patricia Marton in, "TDR", n° 65, New York, 1975.)

[37] "Dopo l'iniziale entrata degli amma, un uomo alto, con un cappello a cilindro e una giacca a code, passeggiava lentamente lungo la hanamichi, che si estendeva per tutta la lunghezza dell'auditorio. Alla sua estremità più distante una donna nuda appariva e spariva subliminalmente da una botola, mentre un uomo pedalava torpidamente su una rampa sovrastante. Alla sinistra della hanamichi, su di una bassa  piattaforma, era illuminata dall'interno una tomba trasparente contenente delle figure immobili dai volti imbiancati simili a bambole rotte; gli amma la smantellavano. Una ragazza dal corpo dipinto di blu si rannicchiava dentro un luccicante baule rosso su di una piattaforma più piccola lì vicino, mentre verso il palcoscenico due scolarette in uniforme giocavano alla 'culla del gatto'  con un pezzo di elastico. Poi una ragazza in kimono rosa (la bambina cieca divenuta adulta) incedeva sonnolenta attraverso una struttura di mattoni argentati , con una musica incantevole, stando di fronte a sua madre, vestita in un kimono color porpora che stava al centro della hanamichi. (Qui la madre adirata avviluppava la sua bambina con una ragnatela di stelle filanti simile a quella lanciata dal ragno malvagio nei drammi ô e kabuki.) Subito dopo la ragazza si dibatteva in una palpitante luce color lavanda. improvvisamente appariva una visione apocalittica di creature sovrannaturali immerse in una luce di riflettori rossa e blu. Nel finale onirico attori e troupe si raccoglievano insieme su di una piattaforma centrale circondata da nuvole di fumo bianco. Un sottofondo musicale che combinava suoni elettronici, vecchi strumenti e un coro lamentoso, si alzava e si abbassava durante tutta la performance contribuendo a creare l'atmosfera strana e desolata." (Patricia Marton in, "TDR", n° 65, New York, 1975.)

[38]"Più riuscita come esperienza artaudiana la 'Nave dei Folli' di Terayama, che commise ancora una volta molte delle sue crudeltà mediante l'amplificazione sonora, questa volta di rock'n'roll giapponese, ma le azioni strane e simboliche, a livello personale, ebbero un effetto ipnotico, e fu quella la produzione che attirò la gente più e più volte per assistere ai suoi trucchi."

[39]"Come nei suoi film, egli si interessa di temi di liberazione personale violenta, ma presenta personaggi che sono bambole o che vengono manipolati da burattinai incappucciati. [...] Quando assistiamo a rivoluzioni personali, queste non assicurano la pace: quando un uomo che è continuamente preda del sonno assassina il suo io dormiente egli viene derubato del sonno."

[40]"Terayama presenta confusioni personali mascherate da convincimenti, ma la teatralità preponderante della sua produzione, dà alle sue opere una vivida vitalità, e il dubbio contenuto intellettuale diviene irrilevante nel caos degli avvenimenti. Anche se derivato, egli possiede un grande talento come direttore. Le sue capacità includono una meravigliosa manipolazione dello spazio e una sprezzante manipolazione del pubblico. Ma si può separarsi dalle fiamme, dal chiasso e dalla imagery violenta della sua opera sentendo, in qualche modo, di avere assistito ad un incubo e con i ricordi che non scompaiono."

[41]Kitagawa Takanobu, "Shokugyô Terayama Shûji - Kyokô ni Ikita  Tensai no Densetsu", Nihon Bungeisha.

[42]G. Manzella, "Istruzioni alla Servitù - Giochi violenti tra notte e nebbia del Giappone", il Manifesto, 15-7-1979.

[43]"Ciò che mi preme descrivere in questa pièce è l'attuale situazione del mondo, denotata dall' 'assenza del padrone'. La nostra rivolta non è rivolta contro il padrone assente. "Il mio nemico sono io stesso".  "Il tuo nemico sei tu stesso." Chiunque può essere il padrone per un quarto d'ora. Ma, quando i servi tentano di uccidere il loro padrone assente, il loro veleno e il loro odio creano l'immagine dell'inferno."  (M. Myers, "Terayama's Directions to Servants", in TDR n° 89, New York, marzo 1981.)

[44]Terayama Shûji Terayama Shûji no Gikyoku, vol. 9, Shichôsha, 1984.

[45]" 'Directions to servants' è un'opera di immagini create mediante l'uso di elementi teatrali esagerati: costumi, trucco, strutture (che includono macchine intese come estensioni dell'uomo fisico), luci e, a volte, dialogo nonsense. [...] Gli assalti auditivi attraverso il linguaggio, la musica e suoni  - umani ed elettronici -  sono  accentuati da immagini visuali. Domina il cerchio di luce. Terayama definisce un singolo cerchio di luce come una metafora dell'ordine; ogni qual volta sussista più di un circolo, ne segue la confusione e ne risulta il caos. [...] L'intero spazio del teatro rappresenta la casa. Sedici attori, ognuno dei quali rappresenta una categoria specifica di servitore, costituiscono i personaggi principali, , essi includono un uomo addormentato, un cane umano e una pazza che crede di essere lei la Padrona.  Nell'introduzione alle note del programma viene suggerita la possibilità che il vero Padrone possa essere tra i servi, fingendo di essere uno di loro. Molte strutture consistono in macchine dal design complesso, finemente lavorate, che servono simultaneamente da estensioni o da incorporazioni del corpo fisico e da strumenti di tortura. [...] La macchina è una metafora della condizione subordinata dell'uomo. [...] La sola struttura presente per tutta la durata della performance è la scarpa del Padrone, consistente in una rappresentazione rosso oro a tre strati di una bocca e lingua, cioè il facitore di parole. Chiunque venga in possesso di questa scarpa diviene temporaneamente il Padrone della casa. [...] In Directions to Servants appaiono elementi apertamente erotici, sadomasochistici e scatologici. Le immagini della rappresentazione, di per se stessa hanno scarso significato. L'intenzione non è né l'interpretazione di un'idea, né il trasferimento di informazioni. Piuttosto gli elementi teatrali divengono esplorazioni del misterioso e dell'incongruo."   (M. Myers, Terayama's Directions to Servants, in TDR n° 89, New York, marzo 1981.)