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PARTE I 
INTRODUZIONE


Perché teatro, perché magia.

 

Questa è la raccolta del mio "metodo teatrale", frutto di dieci anni d'esperienza al laboratorio teatrale Tenjô Sajiki (la piccionaia).

   Penso che sia un errore definire univocamente il teatro come 'espressione artistica'; ritengo piuttosto che sia preferibile vederlo come un mezzo grazie al quale i singoli individui possano diventare parte integrante della società.

Se qualcuno mi chiedesse quale sia per me il teatro più interessante, senza dubbio, risponderei che esso è la storia. Comunque la ragione per cui mi sono accinto a scrivere questo libro non è certo stata quella di analizzare la storia intesa come teatro.
In genere, l'obiettivo principale della maggior parte dell'analisi storica è una generica ricostruzione del passato, avente per campione la nazione e le lotte del popolo che in essa è rappresentato; pertanto c'è il rischio che essa, chiedendosi in che modo i cittadini di una data nazione abbiano superato le varie rivoluzioni e se abbiano ristabilito l'unità, finisca per compiere descrizioni autocelebrative. E' naturale che ciò avvenga, ma devo dire che un teatro epico di "rinascita del passato" di questo tipo non mi interessa.

Secondo me, la storia non può essere considerata del tutto alla stregua della drammaturgia, a meno che non si utilizzi quel processo interiore che organizza il caso per mezzo dell'immaginazione.
Per poter considerare la storia dal punto di vista della drammaturgia, prima di tutto occorrono i personaggi. C'è da dire però che tanto la nazione, quanto la società non amano definire il "personaggio" nel suo pieno significato, quello cioè di individuo esistente allo stato potenziale.

A questo riguardo, Marcel Mauss[1], in "Schizzo di una Teoria Generale della Magia"[2], dichiara che le peculiarità che designano il mago, sono sempre costituite da alcune caratteristiche patologiche, inerenti alla sua fisiologia e alla sua psicologia; si tratta di elementi specifici che conferiscono al mago un'esistenza diversa da quella comune; grazie a queste caratteristiche egli si trasforma, definitivamente, in un individuo singolo e distinto.
Queste particolarità isolano il mago dalla gente comune e, allo stesso tempo, gli conferiscono una qualità sovrannaturale.
In Africa esiste una credenza, secondo la quale  gli zoppi e i fabbri sono esseri dotati di capacità magiche, ai quali viene attribuito il compito di attrarre su di sé il peso degli errori della collettività.

Probabilmente  Lucien Lévy-Bruhl[3] aveva ragione nell'affermare che, nelle società primitive, la "distinzione come singolo individuo", l'emarginazione e l'espulsione sono sinonimi.[4]

Penso che nel momento in cui l'analisi storica  progredisca ad una velocità tanto elevata da rendere il presente  già superato (cosa che attualmente stiamo sperimentando con mano), inevitabilmente l'attività teatrale debba consistere, al contrario, in una marcia a ritroso nella storia.
Così, il compito primario di una performance teatrale sarà quello di generare nuove occasioni di incontro richiamando gli innumerevoli  zoppi, fabbri,  stregoni, ed emarginati per invitarli a formare una compagnia  teatrale.

L'obiettivo principale, che ci proponiamo al laboratorio teatrale del Tenjô Sajiki, è quello di rivoluzionare i principi che regolano la realtà quotidiana;  dando vita ad un sovvertimento che deve essere del tutto estraneo alla politica.
A seconda dei casi, abbiamo o sollevato uno scandalo dei costumi, o collocato un detonatore nello "spazio scenico" tradizionale, o siamo stati in accordo latente con una forma di blanquismo
[5] da strada, o ancora abbiamo usato il nostro lavoro liberamente, come forza di sentimento generica,  cercando di progettare, al tempo stesso, un "vero e proprio teatro dello smembramento".

In questo libro ho cercato di dimostrare, con l'aiuto di alcuni esempi, le tracce lasciate da dieci anni di esperimenti di vario genere che si sono susseguiti al laboratorio del Tenjô Sajiki: un teatro senza attori; un teatro in cui chiunque sia attore; un teatro senza teatro[6]; un teatro in cui qualsiasi luogo è teatro; un teatro senza spettatori; un teatro in cui tutti sono spettatori a vicenda; un teatro di strada; un teatro "porta a porta"; un teatro epistolare; un teatro in stanze segrete; un teatro telefonico.

Mi sono riproposto di scrivere  in questo volume cosa abbiano rappresentato per me gli spettatori, cosa gli attori, cosa il teatro, cosa le opere.

Perciò questo, oltre a essere un trattato sul teatro, si propone di essere anche un metodo di insegnamento della strategia del Tenjô Sajiki, e anche la mia umile bottega dello scrivere.

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CAPITOLO 1


Terminata la rappresentazione, uscendo nel foyer, vidi una donna olandese di mezz'età che mi stava aspettando.
La signora mi chiese cortesemente "La prego, mi può dire dove sia Hans?"
"Ha detto Hans?" le risposi.
"Sì, Hans Brummer, mio marito."

A sentire le sue spiegazioni, Hans Brummer, un fattorino della posta centrale di Amsterdam, una sera di tre anni prima era stato ad assistere alla rappresentazione di Jashûmon (Gli eretici), tenuta da una compagnia di Tokyo al Mickery Theatre.
Un attore in maschera era sceso tra il pubblico e aveva trascinato con la forza Hans sul palco. Una volta in scena, Hans era stato truccato, gli era stato fatto indossare un costume e all'improvviso era stato trasformato in personaggio.
La donna, all'interno del teatro, aveva visto chiaramente più di una volta il marito recitare, tirando una corda sul palco con gli altri personaggi.
Hans sembrava talmente divertito.
Alla fine dello spettacolo la donna lo aveva aspettato in platea, ma Hans non fece più  ritorno. Dopo aver atteso per più di due ore la signora, chiedendo al guardaroba, venne a sapere che la compagnia era già tornata in albergo.
Quella sera Hans non tornò a casa. Né la sera successiva. Né quella dopo.
Poi la compagnia si trasferì in tournée dall'Olanda in Germania occidentale. La moglie pensò che il gruppo teatrale, conquistato dall'abilità interpretativa di Hans, lo avesse preso con sé e che il marito fosse rimasto all'interno della compagnia.

Tre anni più tardi la donna è venuta da me, a chiedermi di restituirle il marito; da me, che sentivo questo fatto per la prima volta; e non ero il solo: nessuno dei membri della compagnia conosceva un signore olandese di mezza età che rispondesse al nome di Hans Brummer, né ricordava di avere, tre anni prima, convissuto con un nuovo membro.

Quando le ho risposto che non ne sapevo niente, stava per mettersi a piangere, "Ma allora Hans dove è finito?".

Un postino di mezza età che tre anni prima si era dissolto durante un nostro spettacolo...

Ora, non è mia intenzione, in questa sede, stare a discutere fino a che punto tutto questo costituisca il contesto dello spettacolo, fino a che punto costituisca la realtà, perché penso che non faccia nessuna differenza se Hans sia scomparso al mio spettacolo o se sia scomparso dal mio spettacolo.

Marcel Mauss scrive : "Il mondo immaginario personale, privo di valore autentico, chiede a gran voce di essere riconosciuto nella società."

Nel nostro caso non è poi così complicato fornire la spiegazione corretta della scomparsa di Hans.
In ogni caso il problema della vaghezza della linea di distinzione tra l'esperienza  immaginaria e la vita reale  dell'uomo di mezza età sprofondato nell'abisso, fornisce uno spunto fondamentale al trattato che da questo momento mi accingo a scrivere.

Certamente, il fatto che le persone riescano a distinguere ciò che è reale da ciò che è falso non è una garanzia sufficiente a confermare che, allo stesso modo, possano capire in che cosa questa differenza consista.  Inoltre credo che spesso la gente ignori volutamente il contenuto di questo significato.

In ogni caso, nella maggior parte dei casi, sono le scienze politiche a distinguere tra realtà e finzione: coloro i quali hanno fiducia nella politica, rigettano le chimere, perché non possono fare a meno di verificare la verità e la falsità di ogni evento.
A riguardo, mi piacerebbe sollevare una serie di interrogativi sulle implicazioni che nascono quando si distingue tra verità e falsità, (oppure, se si preferisce, tra esperienza immaginaria e vita reale) e ripristinare l'identità
[7] dell'essere umano.

A pensarci bene, esperienza immaginaria è sempre un sinonimo di vita reale perché quest'ultima è governata dall'immaginazione. Queste due parti, prima ancora di essere distinte e definite, si influenzano a vicenda, facendo della nostra vita un ingranaggio a due ruote; la drammaturgia[8]  non si trova  nell'essenza di ciò che viene sollevato dalla distinzione tra realtà e finzione, perché esse si fondono l'una nell'altra e la drammaturgia va  costruita proprio sulla realtà, la quale, tuttavia, è impossibile da distinguere completamente dall'esperienza immaginaria.

 

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CAPITOLO 2 

"In un romanzo di Fredric Brown[9]  un uomo riceve quotidianamente lettere da uno sconosciuto e, durante lo svolgimento della storia, questo fatto gli cambierà la vita.

Anche a me sarebbe piaciuto mettermi nei panni del mittente sconosciuto per introdurre la finzione nella serena vita di una famiglia qualunque; pensavo di creare incontri tra vita reale ed esperienza immaginaria perché, l'inizio del "teatro", in questo caso, consiste nel fornire un diverso punto di rotazione ad alcuni principi ricorrenti della realtà quotidiana, per mezzo dell'interposizione di un elemento estraneo."

Il  manoscritto originale, di cui mi sono servito nel nostro spettacolo di strada Nokku[10] (bussa) prevede, nella prima parte, al posto del copione, l'uso del "teatro epistolare".

Per creare una relazione reciproca tra il mio concetto di teatro e la realtà quotidiana, mi sono sbarazzato del "Teatro."

"Finora il teatro ha subito una  pesante limitazione dell'area in cui recitare gli spettacoli, essendo stata questa strettamente confinata all'edificio scenico. Per questa ragione è andato perdendo nel  tempo la sua qualità di mezzo di incontro, tendendo a corrompersi sempre più verso una forma di finzione concordata, bene comune, da condividere tra uno specifico tipo di spettatore e un altrettanto specifico tipo di attore.

In questo caso, l'esperienza derivante dall'immaginazione e la vita reale sono davvero perfettamente distinte, ed entrambe finiscono per raggelare la verità interiore di quanto viene rappresentato.
Voglio dire: ciò che vediamo sulla scena è frutto di una finzione concordata, pertanto sicura,  dal momento che non minaccia di invadere la realtà quotidiana. In quanto nelle rappresentazioni di questo genere resta sempre ben in evidenza il fatto che esse non sono altro che una ricostruzione della realtà effettuata da alcuni sostituti.
[11]

E' stata questa la motivazione che mi ha spinto ad includere il teatro epistolare tra i generi discussi in questa mia relazione  sul teatro del Tenjô Sajiki e, soprattutto, a cercare di ottenere ad ogni costo un rapporto diretto tra  attore e spettatore. Per poter ottenere una cosa simile ho introdotto il teatro nella vita quotidiana.

Forse, chi riceve lettere da un mittente che non conosce, non riesce a buttarle via, come se non lo riguardassero, né riesce a giustificarle come una forma di pubblicità postale; decide così di portare avanti un rapporto pieno di tensione con il mondo nascosto in cui vive il mittente senza nome. E' in questo modo che ha inizio il teatro e il protagonista sarà proprio l'ignaro destinatario delle lettere.

Una comune lettera consegnata in una qualunque giornata di sole, oppure una serie di lettere che arrivino ogni giorno alla stessa ora (servendosi di un gioco di indovinelli) tessono prima o poi  la trama dell'immaginazione fino a raggiungere lo stato che io chiamo della "contro-quotidianità".
Si badi bene, non mi sto riferendo ad un teatro privo di attori, né tantomeno di spettatori. Sia il mittente, sia il destinatario sono in piena regola interpreti di un atto teatrale. Un  tipo di spettacolo come questo ha la capacità di rendere contemporaneamente attori, spettatori e personaggi un gran numero di cittadini.
Devo dire che non sono assolutamente d'accordo con l'idea secondo la quale non si può uccidere nella realtà quotidiana un coccodrillo creato con le parole (appartenente cioè  al mondo della narrativa), perché questo mito riguardante la fiction, per cui la realtà quotidiana  e l'esperienza immaginaria sono completamente distinte ormai è ridotto a niente più che un reperto fossile del passato.
Sicuramente, sarebbe un caso limite se una comune lettera di fantasia riuscisse a provocare la morte di qualcuno o a far nascere sette bambini, nella realtà quotidiana di colui che la riceve. Ad ogni modo che qualcosa "cambi" è sicuro."

"Questo tipo di "teatro epistolare" è stato "recitato" nell'aprile del 1975 basandosi sugli abitanti del quartiere Suginami di Tôkyô.

Il "teatro" era stato suddiviso in sette tipi:

 - "Far incontrare degli sconosciuti";

 - "Copioni fatti recitare a famiglie contattate per posta";

 - "Vita quotidiana dei singles di mezz'età";

 - "Lettere inviate ogni giorno alla stessa ora dal solito ignoto";

 - "Preannunciare la propria visita della settimana successiva";

 - "Cartoline postali di auto-presentazione un gruppo per volta", e così via.

Per esempio nella performance "Tutti insieme", 50 famiglie di una data regione vennero contattate con il seguente messaggio:
 "Abbiamo in custodia i vostri oggetti smarriti. Per la restituzione, dovrete portare con voi il vostro timbro personale
[12] e questa cartolina, al seguente indirizzo.

Parco di Tôritsu Senfuku Teragawa nel quartiere di Suginami,  centro di restituzione oggetti smarriti, direttore dell'ufficio restituzioni.  
20 Aprile del cinquantesimo anno dell'era Shôwa, ore 13."

Così in una serena domenica pomeriggio, le persone venute a riprendersi i loro "oggetti smarriti" si radunarono nel parco.

Arrivate nel posto concordato non trovarono nessuno, solo una scrivania e una sedia.

Gli ignari, arrivati a questo punto iniziarono a pensare ai loro oggetti smarriti, e si lambiccavano il cervello cercando di ricordare cosa potessero aver perduto.

Questo tipo di spettacolo trasforma le persone che si sono avviate dalle loro case rimuginando sui loro oggetti smarriti in personaggi: è un monologo a soggetto: ristabilita l'armonia tra esperienza immaginaria e vita reale, il teatro nasce dalle riflessioni fatte su questi oggetti smarriti.

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CAPITOLO 3 

 

Naturalmente, il mio teatro, non si basa solo su questo tipo di realtà quotidiana, perché gli spettacoli di strada non sono che una forma all'interno del teatro.

All'inizio, questo metodo era stato ideato  per dare nuova vita ad un Teatro che sta marcendo all'interno di una cultura istituzionalizzata e organizzata ad alto livello.
Se consideriamo il fatto dal punto di vista del pubblico, è naturale che, quando il teatro non apporta più innovazioni inaspettate, la sua efficacia si dimezzi.

Il mio teatro potrebbe anche essere definito, come asserisce Hans Meyer, "Lo happening, il puro mondo interiore, il legame temporaneo della casualità propria del gioco d'azzardo". In ogni caso non si deve dimenticare, naturalmente, che ci sono calcoli strategici anche nell'eventualità di una "azione-punto" come questa, così come nel compito impossibile della comprensione storica.

E' chiaro ormai che ci stiamo orientando verso una fiction[13] in cui la discontinuità fornisca un nuovo metodo rispetto all'analisi storica e muti radicalmente, ricorrendo ad un'azione violenta, la successione infinita della  sceneggiatura-fiume, tipica della vita reale.

Io, allo stesso modo di  uno degli eroi di Thomas Mann, proprio non spero che "una bella opera possa ridare una ragione d'essere o l'ordine stabilito correttamente: l'ordine nasce tra gli uomini." Cosa significa "bella opera"? La  bellezza non può essere solo il risultato del giudizio degli uomini presenti in un dato momento.
Con questo comunque non voglio dire che il teatro moderno sia lacerato tra due tendenze, da una parte la casualità della scommessa, lo happening, l'intenzione interiore pura, e, dall'altra, l'interiorità senza parole, il rifiuto del diverso, la non azione; tuttavia esso si perde senza dubbio nel sacrificio di entrambe le tendenze senza riuscire a trovare un metodo particolare.
 Sicuramente  è finita l'epoca dell'istruzione tramandata come un antico patrimonio. Il teatro di riproduzione della realtà (sull'onda del sistema di Stanislavskij) e anche il teatro della non riproduzione
[14] (con autori come Jarry e Ionesco e più tardi Genet) è ormai finito.
L'insegnamento e il potere di influenza  brechtiani, come anche l'immoralità e la crudeltà di Arrabal
[15] o Genet, e ancora l'erotismo, che si sono fin qui susseguiti, in conclusione non sono altro che realtà imitata, recitata da alcuni uomini sulla scena.
Hans Meyer dice che si potrebbe dare a questa "cosa da recitare" l'appellativo finale di gioco.  Il gioco è uno strumento di fuga dall'autoalienazione e un mezzo di incontro casuale con se stessi.
Non  fa poi differenza che l'unità venga ripristinata in teatro oppure in strada.  Possiamo dire che il gioco è in grado di organizzare il caso con l'immaginazione e con la forza di volontà. Esso,  nella sua funzione narrativa, non solo riconduce ad altro i principi della realtà quotidiana ma aiuta anche a comprenderli.
Forse, il gioco può avere la tendenza a cadere nella "privatizzazione" del sogno, cosa che tuttavia il teatro rifiuta. Più che altro il nostro intento è quello di costruire un teatro il più possibile intimo alla verità dei fatti.

Nell'estate del 1970, ho visitato da solo il mar Morto. A occidente di questo bacino c'è l'odierno Israele, sull'altra sponda ci sono vari paesi arabi, la guerra era interminabile. Poi sono andato a Sodoma da Tel-Aviv via Beer Sheva ma naturalmente questo non significa che abbia girato tutto il mar Morto. In ogni caso  il fatto significativo è che, se vediamo questo mare dalla parte araba e di Israele, le altre zone risulteranno essere frutto dell'esperienza immaginaria e, solo la propria sponda sarà quella della vita reale. Ma,  nonostante tutto, questo mare, spartito dall'egotismo politico che porta a ritenere reale solo la propria parte, è limpido come il cristallo. E' sito a più di 400 metri sotto il livello del mare, e perfino gli esseri umani vi galleggiano.
Mi chiedo se questa specie di enorme lago, condiviso tra esperienza immaginaria e vita reale, non sia una sfera fantasma.

Ho scritto questo libro mutando continuamente, le relazioni tra esperienza immaginaria e vita reale, attori e spettatori, teatro e strada.
In questo saggio ho cercato, oscillando spesso tra teatro e magia, di espandere il discorso all'enigma del mar Morto, che si trova tra teatro e magia.

Una volta un giornalista del Theater Heute mi ha rivolto questa domanda: "Secondo lei il suo teatro non potrebbe essere considerato a volte happening, a volte simbolico, altre cerimoniale?"
Credo che il mio teatro possa esistere benissimo senza nessuna di queste caratteristiche e, allo stesso tempo, combinarle tutte e tre.

Molti dei fautori dello happening, lodano la distruzione della società industriale, vorrebbero spogliarsene, e non si rendono conto ottenere il risultato di diventare complici di una sua insensata rigenerazione. Per  la società civile che, senza corpi estranei, mantiene una relativa stabilità, lo happening finisce col diventare un mero modo di occupare il tempo.

Contemporaneamente, si sta ancora sperimentando l'inutilità del teatro simbolico, che costituisce una reazione difensiva attuata dalla società umana la quale si sta volgendo verso una direzione amplificata e finale. Il teatro è nato come simbolo dell'immortalità delle cose, proprio quando l'intelletto ha compreso che tutto si sta volgendo verso la morte. Ma questo tipo di teatro non funziona come reazione ad un'epoca in cui esso si sta avvicinando alla morte. A  partire dal teatro, è caratteristica propria di tutte le cose che si avvicinano alla fine, produrre, per scongiurare l'idea della morte, un simbolo, segno dell'immortalità e dissimilare, al tempo stesso, il processo di mitizzazione; distruggere e svolgere un rito collettivo irrazionale per sfrenare l'esistenza, sia pur mantenendo  una certa razionalità.

Tratterò approfonditamente il soggetto principale ma vorrei iniziare soltanto affermando che il teatro non deve essere governato dal principio di casualità.

Il teatro del Tenjô Sajiki è iniziato dal punto in cui abbiamo ucciso Aristotele, il siparista del teatro classico, e abbiamo superato il principio che spiega origine, motivi e risultati. Molte cose accadono contemporaneamente:
corno di unicorno, astrologia, ascia patricida, scritti su papiro, storia non scritta, fossili imbottigliati, un fascio di lettere, una piantina piena d'errori, malate di mente omonime, sala da biliardo alle dieci di mattina,  l'assassinio di Gonzalo in strada e all'interno del teatro.

Ecco un esempio della realtà quotidiana nella relazione tra discontinuità e mancanza di causa ed effetto: "Il biglietto del tram su cui sono salito e il biglietto del teatro comprato subito dopo hanno lo stesso numero di serie, e lo stesso numero lo ho ripetuto quella stessa sera per una chiamata telefonica." (C. G. Jung)
In breve cosa c'entra il teatro in una simile situazione? Da dove veniamo? Dove stiamo andando? Ho iniziato a scrivere questo libro cercando di generalizzare tutto questo.

 

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[1]Sociologo ed etnologo francese (1872-1950). Studiò le società e le religioni primitive facendo riferimento a Durkheim. Tra le sue opere maggiori Il Dono, (1926); Manuale di Etnologia, (1947), Sociologia e Antropologia, (1950)

[2]Saggio pubblicato in Francia nel 1904, apparso in italia con il titolo "Teoria Generale della Magia e Altri Saggi" nel 1965.

[3]Etnologo francese (1857-1939)  studioso di storia delle religioni e autore della teoria del prelogismo, secondo la quale verrebbe negata alla mente dei primitivi la possibilità di possedere i concetti di casualità e di identità.

La mentalità primitiva (1923); L'anima primitiva (1927)

[4]Ciò potrebbe significare che per la società gli individui devono essere numeri, altrimenti vengono ritenuti pericolosi

[5] Da Louis Auguste Blanqui (1805-1881), rivoluzionario francese.

Nel 1831 entrò a far parte della società segreta L'amie du peuple e nel 1833 della  Società dei diritti dell'uomo.

Partecipò ai moti del 1848. Arrestato alla vigilia della proclamazione della comune di Parigi, fu condannato al carcere a vita (1872) ma fu liberato nel 1879.

- Propagandava una presa del potere politico con la forza per un'oligarchia.

- Corrente socialista derivata da Blanqui.

[6] Nel senso di edificio teatrale.

[7]In questo caso, il termine è traslitterato dall'inglese identity, ritengo che Terayama intenda : assunzione di un ruolo, uscita dalla massa informe a cui la società vorrebbe assoggettare i suoi membri.

[8]In questo caso Terayama usa il termine dramaturgy da intendersi nel senso di fiction.

[9]Fredric Brown (Cincinnati 1907- Tucson 1972) Autore di racconti che costituiscono il cardine della fantascienza classica.

[10]dall'inglese KNOCK.

[11]In questo caso ciò che Terayama desidera esprimere è che gli avvenimenti in scena non hanno la capacità influenzare la vita del pubblico, pertanto questo assume un ruolo assolutamente passivo, che in seguito Terayama paragonerà al  di voyeurismo.

[12]Ogni giapponese possiede uno speciale timbro con le proprie iniziali in caratteri cinesi esclusivamente personale e con valore legale con cui, ad esempio, timbra il proprio cartellino di presenza in ufficio.

[13]Nell'originale doramaturugî, traslitterazione (peraltro impropria) del termine inglese dramaturgy.

[14](non copia)

[15]Fernando Arrabal. Nato nel 1932. Autore drammatico e regista cinematografico spagnolo di lingua francese. Esponente del teatro dellassurdo. Tra le sue opere figurano Triciclo (1953), Il cimitero delle automobili (1957), Concerto in un uovo (1962), La guerra di Milano (1971), La torre ferita dal raggio (1982).