La rivista "der Spiegel" del 23 ottobre 1973, riferendosi ad un violento
scontro tra gli attori e alcuni spettatori
si chiedeva "Non era meglio
Hitler?".
Il critico berlinese Roland H.
Wiegenstein, mentre si apprestava a lasciare anzitempo il teatro, era rimasto
rinchiuso con la moglie nella più completa oscurità senza riuscire a capire
cosa stesse succedendo, con il fumo che avvolgeva la platea e l'uscita
bloccata. Wiegenstein senza riflettere aveva preso per mano la moglie e si era
messo a gridare "Ma questi sono colpi di karate e follia a mo' di
Faust!" Mentre stava per uscire all'esterno, gli assistenti dell'estroso
regista trentaseienne, incappucciati e vestiti di nero, gli sbarrarono il passo
per impedire che uscisse, e lui purtroppo ha reagito con violenza.
La notizia di questo incidente, riportata sullo Spiegel, rimbalzò sulle pagine locali, con toni sensazionali, in
titoli come: "La peste venuta dal
Giappone", "Lo scandalo
senza linguaggio", "Rumori
e fumo" (Con una citazione dalla poesia di Goethe, "Minaccia apparente") e così via
sullo stesso tono. L'autore dell'articolo sullo Spiegel e con lui gli intellettuali progressisti che
"propugnano la riforma e allo stesso tempo temono la violenza", a
partire dal rapporto dettagliato su questo incidente, hanno pensato bene modificare la domanda ai lettori intervistati
su questo caso, scagliandosi in modo veemente contro il gruppo teatrale che ha
osato sollevare dubbi sulla realtà di un teatro che imita il mondo. Seguendo la
stessa linea, il giornalista autore dell'articolo intitolato "Non era meglio Hitler?" vi ha aggiunto il sottotitolo "Il delirio dei critici e la novità venuta
dal Giappone." Presentando
minuziosamente le asserzioni di questo spettacolo venuto dal Paese del Sol
Levante, lo ha inoltre accostato ad un avvenimento accaduto al München Olimpic, ("contemporaneamente si effettuava il massacro di
Fürstenveld").
Un filo inafferrabile lega questi due
fatti incresciosi, unendo i poliziotti che vengono giudicati nello spettacolo,
a quelli veri fuori dello spettacolo.
Inutile dire che questo gruppo paragonato alla peste fa parte del mio
laboratorio teatrale: il Tenjô Sajiki,
e che lo spettacolo responsabile dell'incidente è la mia pièce Jashûmon.
In questa sede, più che riportare la
traduzione del 'benevolo' articolo dello Spiegel,
essendo io la parte in questione, ritengo sia più appropriato riportare la mia
versione dei fatti.
Quel giorno Roland H. Wiegenstein era venuto alla prima di Jashûmon insieme alla moglie ma, "chissà perché", non
erano stati riservati i posti per la critica. Per questa ragione si è
infuriato. La platea era immersa nel buio e piena di fumo e gli spettatori che
stavano per sedersi avevano l'urgenza di "cercare il proprio posto".
Era la prima volta che riceveva un simile trattamento, ed essendo un critico
quotato, era uscito all'esterno della sala per chiedere spiegazioni, ma era
stato costretto a tornare indietro, e, come se non bastasse, a vedere lo
spettacolo in piedi dietro l'ultima fila, perché in questo spettacolo appena
finiti di entrare gli spettatori, venivano chiuse le porte e l'interno del
teatro si trasformava in una enorme stanza segreta.
Gli uomini in nero hanno il potere di
amministrare l'intero andamento della fiction
manipolando gli attori, costruendo la trama, regolando l'illuminazione; da
queste operazioni inizia la
liberazione: gli attori cercavano di liberarsi dalla "natura del
ruolo", diventando essi stessi la trama.
Di solito gli uomini in nero "ispezionano" anche la platea e la trama
viene costruita anche dagli spettatori che ostacolano lo svolgersi dello
spettacolo rispetto a come gli attori lo pensano, come se questa reazione,
invece di costituire un ostacolo, aumenti la forza degli attori.
Naturalmente anche gli spettatori che durante un simile spettacolo ne
impediscono lo svolgimento o quelli che vorrebbero annientarlo sono attori,
così come ci sono spettatori resi attori dall'abito nero, costretti a recitare
una parte.
Lo spettacolo si svolge nella sala immersa nell'oscurità. A seconda dei casi,
nel corso del suo svolgimento si viene interrotti, o si è indotti a proseguire
la storia che si sta creando, senza poter sapere a chi appartenga la mano da
cui si è stati afferrati. Si viene trascinati violentemente sul palco e si è
costretti a indossare costumi di scena;
gli attori (spettatori a cui è stato fatto recitare un ruolo) incutono
paura agli altri spettatori ancora passivi, e il teatro diventa una grande casa
degli spettri.
I cannibali dell'oscurità. Le masse nere.
La cerimonia magica.
Se gli spettatori a cui viene fatta
proseguire la storia si oppongono agli uomini vestiti di nero, devono sostenere
loro stessi il ruolo di attori, e se vogliono uscire fuori dal ruolo, devono
costruirsi con le loro mani una via d'uscita, scontrandosi con i neri. I
dettagli di queste azioni formano, così come avvengono, lo spettacolo Jashûmon.
Quando il rapporto tra coloro che vengono
guardati e coloro che guardano, intersecati in modi differenti, fa parte di
un'unica esperienza collettiva, il teatro si tramuta in divertimento
estemporaneo, lasciando a metà lo svolgimento del copione, e andando oltre, ma
Roland H. Wiegenstein, nel bel mezzo dello spettacolo, ha cercato di uscire
trascinandosi la moglie per mano, e così un uomo in nero gli ha sbarrato la
strada verso l'uscita. Wiegenstein asseriva urlando che è un privilegio del
pubblico quello di essere libero di lasciare la sala in qualsiasi momento, ma
l'uomo in nero non retrocedeva dalla sua posizione, quindi la signora, ha reagito
dando una spinta violenta al nero ed è stata spinta a sua volta da
quest'ultimo. Ecco il riassunto approssimativo dell'accaduto.
I problemi sono due:
1. Quale sia il limite alle espressioni violente all'interno del teatro.
2. Fino a che punto può arrivare il contatto tra attori e pubblico in teatro.
Questo episodio è un avvenimento comune e
non è attribuibile ad una nostra pecca, è accaduto ciò che doveva succedere,
voglio dire che la vicenda ha origine nella "teoria dello spettatore"
propria del nostro teatro e mi piacerebbe
avere l'opportunità di discutere con Wiegensten su questo problema,
perché secondo me potrebbe essere
significativo riesaminare la violenza in Jashûmon
dal momento che le sue rappresentazioni hanno prodotto, oltre allo spargimento
di sangue nella città di Novi Sad in Yugoslavia, gli accadimenti violenti in
molte altre città europee.
Il primo Ottobre nella hall del Forum Theatre, ci siamo incontrati io,
Wiegenstein, il direttore del Forum,
Klaus Hoser e un giornalista della testata locale Âbend Zeiten, e abbiamo dato
il via ad un dibattito aperto al pubblico.
Sono stato io il primo ad aprire il dibattito:
IO: "Signor Wiegenstein, che
cosa ne pensa del fatto che nel mio teatro, nel bel mezzo della
rappresentazione, gli attori 'tocchino' il pubblico?."
WIEGENSTEIN: "Mi pare che la
domanda sia lievemente inesatta. Secondo me la questione sta, più che nel
chiedersi se sia bene o meno che gli attori abbiano contatto diretto col
pubblico, domandarsi se sia lecito che gli attori abbiano di proposito nei
confronti del pubblico atteggiamenti violenti."
IO: "Però, secondo noi, la cosa
più importante è che se questa 'violenza' avviene tra gli attori, lo spettatore
perde l'occasione di vederla come un'espressione."
WIEGENSTEIN: "..."
IO: "Mi spiego meglio: la mia
domanda è se questa violenza sia un fatto interno allo spettacolo oppure un
fatto esterno. Inoltre penso che il problema dipenda anche da quale fosse la
sua posizione come spettatore all'interno della sala."
WIEGENSTEIN: "In questo caso la
risposta è semplice: gli attori saranno anche stati nello spettacolo ma io e
mia moglie ne eravamo fuori. Il karate è balzato fuori dello spettacolo. In
quanto agli spettatori erano persone al di fuori dello spettacolo, e non era
certo usando la violenza che potevano essere risucchiate al suo interno."
IO: "A questo punto, signor
Wiegenstein, mi viene naturale chiedermi se la sua struttura dello spettacolo
sia o meno uguale alla nostra."
WIEGENSTEIN: "Se la pone in
questo modo... Ho l'impressione che per
voi l'atteggiamento violento fosse un elemento interno allo spettacolo."
IO: "Nel caso in cui la
violenza sia un fatto interno allo spettacolo (quando cioè questa debba essere
perseguita legalmente) devono farlo gli agenti di polizia interni allo
spettacolo. La polizia di Berlino non può arrestare l'omicida di una tragedia
shakespeariana, allo stesso modo commetterebbe un comico errore controllando
l'interno dello spettacolo con i principi della realtà quotidiana; però nel
nostro caso, penso che si debba iniziare a discutere partendo dalla sua
opinione sul fatto di 'toccare', dall'interno dello spettacolo, le persone che
sono fuori e chiarire il confine tra dentro e fuori, perché questo è alla base
di tutto, e lei dichiara di essere stato, come spettatore, al di fuori dello
spettacolo."
E gli ho fatto un altro esempio prendendo
come termine di paragone il Paradise Now
di Julian Beck al Living Theatre.
Perché anche se l'operato di queste persone che si vantavano di essere il
teatro rivoluzionario, degli anarchici non violenti, il teatro dell'ardente
sogno politico e spirituale, è tutt'altra cosa dal nostro, tuttavia anche loro
con il 'toccare' il pubblico intendevano dar vita ad una creazione reciproca:
"Gli interpreti costruiscono un
albero. E' l'albero della saggezza. Gli attori che rappresentano i rami
superiori salgono sulle spalle dell'attore che rappresenta il tronco. Il testo,
che inizia con la descrizione dell'albero, prepara il pubblico a rappresentare l'intero
processo. (Omissis)
Poi l'albero si sparpaglia e gli attori
che lo costituivano passano attraverso il pubblico e si dirigono verso le
uscite del teatro, portando a cavalcioni gli spettatori o salendo in spalla al
pubblico" (La rivelazione della resurrezione e demolizione del mito
dell'Eden)
"Iniziano
a rappresentare la morte. Le forze si indeboliscono, il respiro cessa, la vista
si oscura, il mondo si separa da loro.
Poi
emettendo la voce, così come era prima, si rannicchiano come se sprofondassero
nella terra. Mostrando presagi di morte, conferiscono la loro energia finale e
i loro spasmi alle persone circostanti.
Provocando
a vicenda una corrente elettrica da contatto.
Ed
è proprio da questo contatto che essi resuscitano.
Nel
momento in cui si scambiano l'ultimo guizzo d'energia, questo li ricarica, e si
risvegliano vivi e rinati. Lampo. E' l'immagine della morte sconfitta in
anticipo nel contatto tra "Io" (attore) e "Tu"
(spettatore),". (La cerimonia tua
e mia.)"
Ho visto Paradise Now del Living
Theatre alla Round House di Londra.
Nel corso della rappresentazione di quella sera gli attori abbracciavano gli
spettatori e li baciavano, il pubblico a sua volta carezzava gli attori; ho avuto subito l'impressione che Io e Tu
si realizzassero: in principio Spettatore
non esisteva, ed essendo una creazione, venne chiamato Tu da Attore, a partire
dal momento in cui ebbero la possibilità di 'toccarsi'. Gli spettatori da
allora non furono più gli spettatori che erano stati fino a quel
momento, possiamo dire che fossero stati trasformati in personaggi, che
recitavano un ruolo.
Questo spettacolo fungeva da mediatore tra un'esperienza reciproca tra attori e
pubblico con cui gli spettatori potessero capire il mondo, e una procedura
estremamente allegorica, rituale. Contemporaneamente, manteneva un determinato
ordine come teatro e anche come realtà mondiale. Per questi motivi ritengo che
sia ininfluente descrivere la trama. I principi della realtà quotidiana
necessitano di una drammaturgia (fiction), che costituisce un surrogato utile a
mantenere un ordine sociale, affinché la finzione entri nella realtà
quotidiana. Una volta realizzata la finzione, i lineamenti dei principi della
realtà quotidiana si chiariscono. Di conseguenza questi principi di solito sono
incentrati su di una drammaturgia che nella realtà non esiste.
Brecht si chiedeva se il teatro potesse riprodurre il mondo, ma il teatro senza
il bisogno di "riprodurre" ha la capacità di realizzare di per sé un
mondo distinto. Se chiamiamo il mondo che, secondo i canoni brechtiani, si
doveva riprodurre nel teatro "mondo storico", dovremo chiamare quello
"realizzato", secondo la nuova concezione del teatro, mondo magico o
rituale: ciò che "non era altro che un semplice fatto alla luce della
storia", si colora così con un'azione che sa di mito e di eroi e, sotto un
altro punto di vista, manifesta un potere magico, che fornisce un indizio per
ottenere una comprensione unitaria.
Il mondo dell'Io attore è quello
rituale, reso a priori drammaturgia, ma il mondo dello spettatore che viene
toccato dalla mano di Attore e viene
chiamato Tu esige forzatamente una
scelta, nei principi della realtà quotidiana.
Dal momento che gli attori sono dei sostituti degli spettatori, essi possiedono
la faccia del mago e cercano di diffondere un'infezione da contatto che si
propaghi al pubblico e lo faccia esistere
in maniera teatrale. Questa regola - ossia il contagio magico (contagious
magic), l'azione reciproca iniziata con il toccare - prolunga la reazione fino
a dopo che il contatto è finito. Manca, in questa relazione tra Attore e Spettatore, il concetto
scientifico: essa non è altro che far
nascere la fantasia, che si propaga con il contatto, dando luogo in questo modo
all'unione astratta; questo nuovo tipo di rapporto cancella del tutto la
relazione di classe tra "attore" e "spettatore". Il fatto
che abbiano la possibilità di 'toccarsi' significa che entrambi stanno a capo di
questa nuova realtà a dimensione unificata, perché nei sogni non si può
toccare, così come è impossibile farlo con il passato e con il futuro.
Finora gli attori non sono stati che un simbolo per il pubblico, le vicende
sulla scena, realtà imitata, che traduceva quelle del mondo storico, mutandone
il linguaggio; e si pensava che riprodurre e restaurare fosse
"teatro".
Walter Benjamin e Brecht, definiscono il
concetto di teatro come "arte della riproduzione". Essi fanno si che
la gestualità degli attori venga ripresa nella realtà quotidiana e sottolineano
l'effetto educativo e la forza d'influenza del teatro. In questo caso il
pubblico è "la parte che riceve", mentre attori e registi sono
"la parte che dà". La trasmissione avviene in maniera unilaterale e
non essendo biunivoca lo spettatore non
ha la possibilità di prender parte alla "costruzione del teatro".
Tuttavia il teatro moderno da Brecht in
poi, è stato manipolato a piacimento da attori e registi, per creare uno spazio
utile per introdurre concetti scientifici. E così gli spettatori non sono altro
che "guardoni legittimati" e gli attori nient'altro se non mammiferi che "interpretano" gesti
e azioni altrui. La realtà all'interno del teatro è morta, non esiste che la
sua imitazione simbolizzata.
Quando gli spettatori hanno cominciato a
rendersi conto che il teatro altro non è se non una scena di un altro mondo[1], la fantasia è diventata uno dei mezzi
possibili per comprendere e per conoscere un teatro sostenuto (per quanto
concerne la struttura) da una duplicazione di Io e Tu, di realtà e
finzione. Come simbolo non c'è l'attore, né
tantomeno la recitazione, intesa come gusto esibizionistico che consente
una fuga da se stessi, perché anche il teatro ha bisogno ancora di un mito per
poter creare una relazione che cambi il sangue.
IO: "Pensa che nel caso in cui gli
attori non arrivino alla violenza con gli spettatori, e si limitino ad
accarezzarli e a baciarli, allora sia lecito che 'tocchino' gli
spettatori?"
WIEGENSTEIN: "In teoria è così,
ma la pratica può essere diversa."
IO: "Penso che qui si debba
discutere individualmente sul problema della violenza. Stare a discutere sul
bene o male della violenza è un problema che riguarda l'etica e il compito di
discuterne è riservato alla saggistica. Per di più penso che ogni opera
drammaturgica contenga al suo interno della violenza, e che il concetto di
conflitto sia dato in teatro dalla violenza in sé e per sé. Ma di questo
parlerò ancora in seguito. Il problema, in questo caso, è se il teatro debba
limitarsi alla scena, o accettare l'azione reciproca tra Io e Tu, o, ancora,
lasciar avvenire il contatto tra realtà e finzione, o costruire una nuova
finzione."
WIEGENSTEIN: "Se la pone in
questi termini, penso sicuramente che gli attori non debbano toccare il
pubblico. Ho conosciuto bene W. Benjamin di persona e penso che la sua idea di
teatro sia tutt'oggi valida."
IO: "Dice...?"
WIEGENSTEIN: "Il tentativo del Living Theatre non è teatro, è solamente
uno happening."
IO: "Quando ho visto 'Paradise Now' uno spettatore si è messo
a gridare rabbioso: "E' ridicolo, smettetela!" Così uno degli attori
gli ha gridato a sua volta: "Se è così ridicolo perché non vieni a
renderlo interessante?". Prendendo spunto anche da una sola parte nata
all'interno dell'azione reciproca, si può ricostituire qualunque cosa.
Affinché il teatro arrivi a completare una "realtà mitologica ancora informe", non c'è altro mezzo che il
pubblico di ogni singola serata.
Nel teatro come lo pensa lei, l'autore
monopolizza trama e mezzo di trasmissione e li spinge verso gli spettatori; ma
una mentalità simile è classista e non può essere altro che un semplice cane da
guardia a protezione della storia."
WIEGENSTEIN: "In ogni caso il
teatro non può produrre azioni reciproche a pari livello tra spettatori e
attori, perché i primi sono ignari di
cosa li attende, mentre gli attori sanno a priori cosa accadrà e sono preparati
a reagire ai possibili eventi." Voglio dire che questa è un'altra
manipolazione del termine azione reciproca, è una trappola."
IO: "Sì, però, è una trappola
dell'immaginazione, appostata allo scopo di organizzare un'incontro casuale. In
particolare, nel nostro caso, l'"incontro" costituisce proprio il
contenuto dello spettacolo, e per questo penso che anche questo 'ricorrere a
qualsiasi mezzo', si possa considerare fare teatro. Inoltre sento il teatro in
cui lo spettatore è anonimo e solo l'attore recita presentandosi, come una
disarmonia. Originariamente, anche il pubblico doveva avere un volto, doveva
"presentarsi", per questo dall'incontro doveva emergere una
unificazione.
Brecht estranea gli spettatori dai
personaggi e rifiuta ogni uso del sentimento; solitamente, per poter separare
tranquillamente le due parti, crea un outsider, lo spettatore, che retrocedendo
da solo verso l'interno, produce le "persone altro da sé", le quali servono solo a trasmettere la
conoscenza. Un simile puritanesimo, dopo tutto, non era altro che l'offerta di
una forma di dissimulazione a persone che non erano in grado di comprendere il
mondo come simbolo.
In qualche caso bastonare gli spettatori,
ipnotizzarli, accarezzarli, genera un'identificazione dovuta al fatto di
condividere questa esperienza (che non riduce alla conoscenza). Questo, per me,
è teatro."
WIEGENSTEIN:
"Mia moglie ha la
bronchite perciò quell'assurda inondazione di fumo le ha completamente
danneggiato la gola."
IO: "Ma perché una donna malata
di bronchite è venuta a partecipare ad un mio spettacolo? Penso che sua moglie
non avrebbe dovuto prender parte ad una dimostrazione fin quando non fosse
completamente guarita. Perché se fosse capitata in una dimostrazione militare o
della polizia, di quelle in cui vengono lanciati dei gas lacrimogeni, la sua
malattia sarebbe peggiorata. Penso anche che per sua moglie sarebbe stato
meglio non giocare neanche a tennis o nuotare fino alla guarigione. Perché
allora è venuta a teatro?"
WIEGENSTEIN: "Riteneva che la
platea fosse una zona sicura, credo. Almeno fino a questo momento lo era
stata."
IO: "Questo fino all'avvento
del teatro moderno, ma da Antonin Artaud in poi non è raro trovare spettacoli
che abbiano il realismo delle dimostrazioni, anche senza arrivare al contatto
fisico, essere inaspettatamente illuminati da un riflettore, essere inzuppati
d'acqua, venire ricoperti di ingiurie. In "Insulti al pubblico", di Peter Handke[2], gli spettatori vengono ingiuriati,
additati, derisi e qualche volta gli attori gli sputano contro.
In "Balcon",
di Jean Genet[3], nel dialogo finale gli attori respingono
gli spettatori dicendo loro: "E adesso tornatevene pure senza perder tempo
a casa vostra, posto in cui c'è più menzogna che qui." Si può dire che un
simile esperimento non si limiti a
costituire un attacco alla bourgeoisi
rappresentata dal pubblico, esso può
diventare anche uno spunto che induca ad incontri reciproci. Noi prima di Jashûmon abbiamo provato molte volte ad ottenere questo tipo di rapporto.
uno degli spettacoli che prevedevano uno scambio di azioni con gli spettatori
era Li Facciamo Presentare; la realtà
quotidiana degli spettatori prendeva il posto degli attori e nella visione
mondiale di teatro come rito, provai ad inserire anche loro nella finzione per
sperimentare se sia possibile o meno che questa venga condivisa tra attori e
pubblico."
ARBITRO[4]: "In ogni caso, anche se, d'ora in
poi, si avviassero le prove di Teoria
sulla Felicità seguendo le regole del football americano, questo non
significherebbe certamente giocare."
IO: "Noi desideriamo da sempre
presentarci. Lo facciamo ad esempio con una palla. Questa palla! Durante un
passaggio viene lanciata oltre la linea di meta[5]; vedo l'auto presentazione a teatro come
l'allenamento per arrivare alla zona finale superando con un passaggio la linea
di meta. Questa palla viene lanciata dalla platea, visto che in questo caso non
è possibile un gioco in corsa, ci si deve limitare ai passaggi. Se si perde la
palla, essa ritorna in mano allo spettatore. Tenere la palla per più di un
minuto rappresenta un'infrazione."
uomini: attori 1 2 3 4
5 ü
ý disposizione
donne: attrici 1 2 3 4
5 þ
(La
difesa dell'Oklahoma oppure formazione 5 - 4.
Quattro Line men (E.T.T.E.) e inoltre
un difensore centrale, contro l'attaccante centrale.
Fischio.
La persona che prende la palla lanciata
in platea ha il diritto di parlare, deve passare entro un minuto.)
"ESEMPIO":
1°
UOMO: "Cerco un
vecchio amico. Sono un uomo di 42 anni, fiducioso nell'amicizia sincera, non ti
disturberò per tutta la vita."
2º
UOMO: "Sono un
divertimento per soli uomini!
Sono sicuro di poterti soddisfare
completamente nel corpo e nella mente.
Naturalmente dovrai mantenere strettamente
il segreto." Sakitama N.K.
3°
UOMO: "Scrivetemi,
per favore. Se avete i miei gusti, francobolli e foto di nudo maschile, lacci
di perizoma e così via, che vorrei scambiare con persone che condividono i miei gusti." Narcisista di Fukuoka.
Questa è una parte della prima
rappresentazione avvenuta nel 1969 di I
Tempi a Cavallo dell'Elefante Circense del Tenjô Sajiki. La rappresentazione avvenne in un piccolo teatro, la palla che
inizialmente era prevista solo per gli attori, con un lancio sbagliato, un
giorno finì in platea. Da quel momento divenne una formula regolare far presentare
lo spettatore che la prendeva, così ogni giorno "abbiamo visto il volto
del pubblico".
Per quanto riguarda lo spettacolo, l'iniziativa non si limitò al giorno in cui
abbiamo trovato questo nuovo metodo, per gli interpreti era diventata una nuova
esperienza. Gli spettatori che fino a quel momento, nell'oscurità, come una
massa anonima, aspecifica e giudice, oppure come guardoni, non avevano mai
mostrato veramente il loro aspetto reale, ora rivelavano il loro volto. In
seguito gli incontri accrebbero il circuito possibile.
Se iniziamo con il "guardare gli
spettatori in faccia", il seguito naturale di questa azione non sarà altro
che l'identificazione con gli spettatori e il trovare un metodo di
polarizzazione.
IO: "Costruisco un teatro che non può
esistere senza la partecipazione del pubblico: trasportando gli spettatori con
degli autobus, o ancora facendo talvolta bere loro nei ristorantini all'interno
del teatro delle zuppe al sonnifero e chiudendoli poi in stanze segrete,
propongo loro degli enigmi.
In Il
Delitto del Dottor Caligari" gli spettatori vedono solo una parte
dello spettacolo, il resto devono ricostruirlo con la propria fantasia, questo
per far loro comprendere che mito e fantasia sono estremamente importanti per
comprendere il mondo in maniera unitaria.
La conclusione è che noi, in qualsiasi
situazione, non possiamo creare più della metà dello spettacolo. L'altra metà
la costruiscono gli spettatori.
Un attore indicando il pubblico dice:
"Lorsignori saranno il tema della
serata, il centro delle notizie.", un altro: "In questa sede non siete più persone, né
possedete caratteristiche peculiari; gli stessi visi non cambiano poi di molto.
Non avete personalità, né carattere, né fato, né storia, né passato. Cosa siete?
Un vero e proprio identikit. Non avete esperienza di vita, l'unica cosa che
avete è l'esperienza di andare a teatro."
"Ma che visetti compunti! State
sicuramente pensando qui sta l'alto e lì il basso, vero? Perché iniziate a
capire che ci sono due mondi, non è così? Naturalmente! Proprio una buona
conoscenza del teatro. E molto approfondita!".
"Se
si sta in piedi si può curiosare meglio, no? Non è che facciamo studi
d'anatomia ma è logico che se state in piedi i fischi dovrebbero riuscirvi
molto più forti e anche i pugni ben più potenti. Se è libero di muoversi, uno
spirito ostinato, ha modo manifestare la propria caparbietà, e poi essendo
liberi di gironzolare ci si può spostare a volontà."
Poi continuando ad incolpare gli
spettatori per la loro passività, (oppure quelli che fischiano e rispondono)
gli attori inviano al pubblico l'ultimo saluto: "Siete stati degli attori incantevoli. Rispondete perfettamente alle
nostre aspettative: sciocchi, compagni privi di madre patria, specie di
rivoluzionari, esiliati per motivi ideologici, gente indietro coi tempi,
disgrazie, militaristi, fascisti, nichilisti, individualisti, gruppisti,
minoranza politica, mendicanti di applausi, decaduti, cibo per porci, vetrine,
attori di carattere, attori umani, uomini di teatro mondiale, silenzio della
terra, divini malviventi, vecchi fans, atei, edizioni economiche, stampe,
pietre miliari nella storia del teatro, morbo della peste occulta, anime
immortali, autorità dell'apprendimento, stolta nobiltà, marcia borghesia..."
(E così via, si può continuare senza limiti.)
Si tratta di un estratto da Insulti
al Pubblico (publikumsbeschimpfung)
di Peter Handke.
Dal momento che gli spettatori che hanno
assistito a questo spettacolo al Forum
Theater di Berlino, venivano inclusi nello spettacolo che dialogassero o
meno, prima o poi il loro coinvolgimento era assicurato: applaudivano,
scoppiavano a ridere e alla fine si sottomettevano al fascino dell'attore.
Generalmente gli spettatori all'interno dello spettacolo, impegnano i sensi
(mente e intelletto) in un'autodifesa quasi egoista e malvagia, e pur
sentendosi come dei "visitatori allo zoo", temendo di poter finire
nelle gabbie, ci "privano delle
nostre zanne", ossia della nuova arte che mira al crollo psicologico dello
spettatore, avallata, uno dopo l'altro, dai nomi alla moda, e ci rinchiudono
nella "gabbia della storia". Questo atteggiamento è dovuto
all'istinto di autodifesa degli spettatori.
(Teorie sugli spettatori moderni. -
Higashino Yomei)
Però secondo noi i casi sono due: o si
libera il teatro dalla "gabbia della storia", oppure si infilano
nella gabbia anche gli spettatori; altrimenti l'"incontro" non può
avvenire. Perciò prima di tutto è necessario iniziare dalla verifica della
gabbia.
Ad esempio il compositore John Cage[6] pensa solo una parte della musica,
usandola come uno strumento per produrre il crollo interiore degli ascoltatori
e affida a questi ultimi la parte restante della performance. Dispone sulla
piattaforma dell'auditorio macchine del tipo "lo scienziato pazzo del film
Frankenstein" oppure radio registratori, giradischi, apparecchi
fotoelettrici, ricetrasmittenti, riceventi ad onde corte, amplificatori
disposti disordinatamente, in modo che siano gli spettatori a suonarli. Essi
possono suonare, parlare, ridere, far rumore a piacimento, congiungendosi così
a John Cage, il manovratore di tutti questi strumenti, e la performance di David Tudor[7] si trasforma in opera.
Al 3° Experimenta (festival internazionale
del teatro sperimentale) che si è
tenuto nel 1969 a Francoforte, nella pièce rappresentata con a capo il
professor Brown Non accade che una volta avvenne
qualcosa di simile ad un esperimento clinico.
Nel T.A.T. (Theater Am Term) all'alzarsi del sipario, era stata allestita una
scenografia banale. Essendo sempre lo stesso scenario di inizio di Hedda
Gabbler o Casa di Bambola gli
spettatori venuti ad assistere agli Experimenta scoppiarono a ridere; a 10
minuti dall'apertura del sipario non apparivano né Nora né Hedda e gli spettatori
cominciavano gradualmente a rumoreggiare. Alla fine dei giovani spettatori
impazienti balzarono sul palco e si andarono a sedere sul sofà di rimpetto alla
platea.
Un ragazzo prese una sigaretta da un
piccolo contenitore sul tavolo e l'accese, una ragazza lo guardava fiduciosa.
Quindi salì sul palco un altro ragazzo e lentamente si mise a camminare e a
farsi vedere, un altro si mise sotto un riflettore e iniziò a leggere Il Capitale di Marx.
Questi ragazzi impedivano che ci fossero spettatori e fans, e lacerando
l'armoniosa relazione tra vedere ed essere visti, erano diventati dei martiri del teatro della partecipazione.
In questo caso la drammaturgia consiste nell'idea per cui, grazie all'assenza
dello spazio, chiunque può salire sul palco e possedere il mito.
Quel genere di spettatori privi della consapevolezza di essere
interessati al "teatro" non
possono essere "spettatori di teatro". Comunque sia non può esistere
la concezione di spettatori = "massa"
o "moltitudine indistinta",
e tantomeno ci si aspetta che ci
sia.
Come scriveva Rosenberg: "La teoria che si domanda se questo
genere d'arte possa trasmettere qualcosa alla massa di spettatori è più o meno
corrispondente al tentativo di spaventare una torma di fantasmi, e di sfidarli:
cose anacronistiche ed inutili.".
Il teatro vuole un incontro e
regola la fantasia di gruppo scegliendo spettatori che cerchino i personaggi.
Se l'"incontro" non produce una trasformazione del mondo interiore
del partner, esso è sterile.
Qualsiasi
forma di espressione, persino quella del "visitatore dello zoo",
non ha alcuna necessità degli spettatori appartenenti alla fascia sicura. Il "sistema parlamentare
rappresentativo" nel caso dell'espressione teatrale deve essere gettato
via a due mediterranei di distanza dalla politica del sistema teatrale. Un
giornalista dello Abend Zeitung mi
chiese:
GIORNALISTA: "Quindi, in
definitiva, il suo teatro, avendo a che fare con spettatori speciali e selezionati ed essendo un divertimento
egocentrico tra questi e voi soltanto, non diventa forse qualcosa di simile ad
un 'party'?"
IO: "Più che 'party' penso che
si possa avvicinare ad una sorta di cerimonia magica, questo almeno
nella coscienza dello spettatore."
GIORNALISTA: "Mi spieghi meglio."
IO: "Ho letto con molto piacere
e interesse "Elementi magici" di
Marcel Mauss. In questo saggio Mauss scrive: "Spesso il mago è designato
dall'organizzazione magica di cui egli stesso fa parte, ma di solito egli è
designato dalla società in genere. Le azioni del mago seguono il cerimoniale e attenendosi
alla tradizione la perpetuano.
Le immagini hanno il valore di
astrazioni dell'esistenza spirituale; in alcune situazioni esse vengono riprese
in una sfera diversa da quella della vita sociale, per capire se siano prodotte o meno dall'esperienza individuale,
ci si deve rivolgere alla ricerca sulla religione (come argomento)." In questo caso penso che si possa vedere
l'attore come il mago, il teatro come la magia, e il pubblico come il popolo
che permette a questa magia di verificarsi. Perché il teatro è estratto dalla
realtà sociale quotidiana per opera della finzione[8] e allo stesso tempo, la sua essenza non è
altro che un fenomeno di gruppo degli spettatori. Per trasformare un attore in
'personaggio' di un mondo a sé, creato sul palco, gli spettatori devono
ricomporre, inizialmente in modo
individuale ed enigmatico, la struttura dello spettacolo, scomposto in piccoli
pezzi; in seguito, dopo questa operazione isolata e solitaria dalla totalità
delle varie impressioni personali viene fuori l'opinione generale collettiva,
che costituisce un indizio per la comprensione unitaria del mondo creato
dall'attore."
GIORNALISTA:
"Ma quindi sta per
caso asserendo che essendo il teatro 'anti quotidiano e anti sociale', esso
risulta essere in conclusione 'quotidiano e sociale'?"
IO: "E' pressappoco così.
Perché poi, il far costruire questo teatro
(con strutture equivalenti alla magia) ad un gruppo isolato di spettatori è
come renderlo opinione pubblica. Non sono affatto d'accordo con Bertold Brecht
e Walter Benjamin, i quali associavano il teatro all'"educazione".
Perché se il teatro può essere accostato a qualcosa, deve trattarsi di occultismo (occultisme) o una forma di spiritualismo (spiritualisme)
politicizzata.
I personaggi non sono lì aprioristicamente,
come insegnanti, non sono altro che
spettri suscitati e costruiti dagli spettatori.
Walter Benjamin scriveva: "Parlare della
situazione del teatro non significa parlare di drammaturgia bensì parlare di
teatro." Il problema è nella buca dell'orchestra, questo abisso che separa
gli attori dal pubblico, come se chiudesse fuori i morti dai vivi; questo
abisso che, nel fare teatro, accresce la sublimazione con il silenzio; e che,
nell'opera lirica, accresce l'estasi con l'eco. Questo abisso, che si ferma in
ogni elemento del palco, e, più densamente, in ogni traccia di cerimonia che ne
è l'origine, sta perdendo questa funzione. Perché il palco si trova ancora ad
un livello più alto, ma non si innalza da una profondità incommensurabile. Il
palco si è trasformato in una piattaforma. Il problema è adattarsi a questa
piattaforma." (Cos'è il teatro epico [Was
ist das epische theater])
Io sono nato nella seconda metà degli anni
'30, il periodo in cui questo saggio venne scritto, e quando sono giunto
all'età in cui ero in grado di capire, l'orchestra era già stata eliminata dal
"teatro".
Sono cresciuto in un'epoca in cui Wagner
era ormai dimenticato, ho ricevuto un'"educazione teatrale" dagli
attori itineranti, dagli spettacoli (Misemono),
gli strips, i gruppi circensi, e poi dagli incontri artistici e culturali e dal
Kabuki.
Benjamin scriveva che il palco è ancora ad un livello più alto, ma nel nostro
teatro non ci sono più palcoscenici sopraelevati. Questo luogo che "si eleva da una profondità
incommensurabile" è stato livellato agli spettatori, e, si è riusciti
finalmente ad abbandonare quella "piattaforma" che sa tanto di
predica.
Ora Benjamin è morto. Il suo ruolo, come quello di Brecht, è stato soltanto
quello di dare vita ad una riforma che aveva l'impronta della loro epoca e del
loro prendersi per mano.
Queste due "B" hanno espulso dalla scena storie sensazionali ed eroi
tragici. Hanno cacciato anche la cosiddetta 'catarsi aristotelica', che
consiste nello scaricare l'emozione e cancellarla immedesimandosi nel
sentimento e nel fato dell'eroe.
Però stavolta siamo noi a scacciare le
due "B".
IO:
"Nel teatro epico di
Brecht, il pubblico pretende di avere un atteggiamento rilassato pertanto
elementi come la capacità di empatia diventano completamente inesistenti.
Ma in pratica in cosa consiste questo "atteggiamento rilassato"?
Brecht afferma che esso consiste nella capacità di straniamento (verfremdung)
cioè il teatro non viene inteso come storia
ma come riuscire a comprendere una
situazione.
Per esempio, nel teatro epico di Brecht spesso si trovano delle interruzioni. Esse fanno parte del meccanismo dello straniamento.
Brecht spezza l'azione degli attori, così
che gli spettatori: "Mettano il
dialogo sui piatti della bilancia, e lo lascino giusto il tempo di pesarne il
significato."
Ma si badi bene: in questo periodo di
tempo lo spettatore non prova emozioni nei confronti dei 'gesti', né del
dialogo (ossia per il materiale che gli viene offerto dagli attori); l'unica
attività che gli viene richiesta è quella di comprendere. In questo modo si
impedisce agli spettatori di far lavorare
la testa usando il corpo viene al contrario chiesto loro di applicarsi
totalmente a manovrare il corpo usando la
testa.
Da questa posizione, un chiaro palco, si
esplicitano il pensiero di casta di "istruire" la platea, la
trasformazione degli attori in modelli e la riproduzione del comportamento.
Nel teatro epico di Brecht, l'esperienza non è mai "esperienza
trasmessa". In un primo momento, l'esperienza viene mediata dalla
conoscenza, poi gli spettatori vengono influenzati dalla capacità di
riproduzione fino al punto di divenire in grado di ripetere i gesti degli
attori.
La velocità cade, l'azione si riempie
di fessure, perché "Gli attori, come
tipografi, allargano lo spazio tra le parole, dilatano gli spazi tra i
gesti."
Questo tipo di recitazione presuppone che lo spettatore riceva una
conoscenza, e la restituisca a sua volta all'interno della realtà quotidiana,
come esperienza che si possa ripetere.
In "Un
Uomo E' un Uomo" la ragazza del locale notturno canta: "Smettila! È inutile ricordare le cose
passate..." e così facendo
essa stessa ricorda. La volontà di Brecht di annullare il ricordo è un
controsenso, perché senza la ricostruzione nella memoria, il suo teatro epico
non si potrebbe comprendere completamente. Oltre a quelle di palco e platea ci
sono altre due esperienze derivanti dalla fusione delle due conoscenze di palco
e di platea da parte degli attori e da parte del pubblico. Ma nel caso di
Brecht il teatro resta un'aula , il copione un libro di testo, la recitazione la materia
di insegnamento, e gli spettatori non sono che degli allievi, che vengono in
questo modo definitivamente esclusi dalla realtà teatrale sulla scena.
IO:
"Riflettiamo sul
fatto che (in giapponese) il termine spettatore deriva dal verbo
"vedere" e ascoltatore da "ascoltare": le persone che si
radunano a teatro sono individui che hanno nei confronti del mondo un approccio
visivo, e cercano di comprenderlo con l'uso della vista.
Ma in pratica in che cosa consiste
questo "vedere"?
Se le relazioni con il mondo esterno di una persona si limitassero all'uso
della vista, sarebbe come trasformarsi in un "buco nel muro di un
angoletto, che sfugge alla vista della gente", non si diventerebbe altro
che un auto alienato.
Gli emarginati, sono un problema sociale, non del teatro. Io a teatro non
desidero essere sbirciato da migliaia di occhi, desidero "incontrare"
migliaia di persone. Perché sono un essere che vive di relazioni, e il potere
creativo del teatro consiste proprio nell'organizzare queste relazioni.
Il metodo cognitivo che sostituisce il "vedere" ad ogni altro genere
d'esperienza raggiunge l'apice con una scoperta fatta in Italia, la camera
oscura[9].
In Germania Gutenberg inventando una
macchina per poter stampare la Bibbia, mise il bavaglio agli aedi; pressappoco
nello stesso periodo in cui i trovatori 'diventarono muti', in Italia la camera oscura, con una
proiezione, creò lo spettatore. (Se si fa un buco al muro di una stanza in una
giornata serena, sulla parete opposta appare il riflesso del panorama esterno
capovolto).
A partire da questa foto in movimento, lo spettatore che guarda in questa
stanza segreta entra in contatto con il mondo attraverso la "vista",
fino a diventare come il guardone di "L’inferno" di Barbesse[10]: adattando tutto alla "realtà della
camera oscura" egli finirà per rendersi un outsider e per allontanarsi da tutte le altre esperienze, come
"toccare", "ascoltare", "annusare",
"assaporare".
Gli
spettacoli, che rielaborano in modo artificiale tutta la recitazione e
tutte le azioni all'interno del teatro, per poterle riprodurre facilmente, allo
scopo di fornire un esempio educativo
di alcune azioni, perdono la qualità di essere irripetibili. Non accetto
inoltre questa ideologia di sostituzione del valore che mira a trasmettere
gesti e azioni esclusivamente attraverso un'osservazione passiva.
Ci
sono casi in cui agli spettatori è data la qualifica di "spettatore
cieco" (come in uno spettacolo a cui ho assistito personalmente in un
piccolo teatro di Copenaghen: "Planetarium" di Nathalie Sarraute[11]). Esso si svolgeva dall'inizio alla fine
in perfetta oscurità e gli spettatori, pur essendo ciechi, potevano sentire e
prevedere, e toccare le cose. In questo caso, al contrario, si era verificata
la situazione per cui il mondo scompariva con il "vedere".
Non sono d'accordo con il fatto che in
teatro ci debba essere una "piattaforma" e rinnego anche il teatro
come mezzo di istruzione subordinata a scopi politici. Nello stesso tempo
guardo con grande sospetto anche l'ideologia anti catartica di alcuni
intellettuali per cui la cosiddetta "educazione", cerca di collegarsi
col mondo reale attraverso l'interesse rilassato e il "guardare"
passivamente.
Rappresentare il mondo sostituendo ad ogni tipo di esperienza la semplice
azione di guardare ostacola la comprensione globale della realtà.
Quest'atteggiamento dà un'importanza eccessiva alla influenza
intellettualistica. Mi domando con quale diritto drammaturghi e attori
pretendano di educare gli spettatori.
Il presente del nostro paese dagli ultimi
cento anni a questa parte aspira all'Europa. A partire dal gruppo teatrale
dello Tsukiji Shôgekijô (il teatrino
della terra bonificata), si prendeva a modello il "teatro dei peli rossi"[12] per apprendere la cucina, il modo di
calzare e vestire, la tradizione del teatro illuminista. La struttura appresa
studiando gli occidentali si è succeduta fino ad oggi, nella Bungaku-za, la Haiyu-za, la Mingei[13].
L'illuminismo di moda ha cambiato
totalmente il modo di vivere, di illuminazione, e gli attori sulla scena mostrano il "gesto". Il gesto
è il mezzo con cui gli attori diventano educatori di vita per il pubblico.
Benjamin afferma: "Contrariamente
alle varie intenzioni e azioni della gente, il gesto sa stabilire chiaramente
sul palco inizio e fine di ogni azione.
Il fenomeno basilare della dialettica del gesto consiste
nell'incorniciare rigidamente tutti i fattori costitutivi di ogni azione che si
attua nel corso della vita vissuta."
Tuttavia riducendo la recitazione a
vari modelli di gesticolazione, non si può ottenere altro che un sostituto
della realtà, e tutto si riduce solo alla forma.
Fatti vuoti e temibili come "duplicare" il sentimento, nascono come
risultato di un'interpretazione della realtà da parte del il giudizio razionale
dell'attore di conseguenza il teatro, così di per sé, non consiste in un
"incontro". Esso viene
semplicemente esibito come materia di
ricerca su problemi applicati affinché l'"incontro" avvenga.
L'ideologia che sostiene il teatro del
"vedere", in definitiva, consiste nel far precedere l'essenza
all'esistenza, rendere sociale
l'intenzione dell'autore, e trasmetterla arbitrariamente dall'alto del palco.
Ad essere precisi gli spettatori non "guardano" ma piuttosto
"sono costretti a vedere". La libertà dello spettatore, l'atto di
"ricordare", sta diventando una cosa possibile solo se non come
seconda commedia. Però un teatro che esaurisca in una sola volta tutto
l'"incontro" non si può ripetere, perché in teatro la realtà è
"veloce" al punto da oltrepassare il ricordo.
"Smettiamola! È inutile ricordare le
cose passate..."
GIORNALISTA:
"Lei ha detto di non
riuscire a produrre che una metà dello spettacolo e che l'altra metà viene
completata dal pubblico. Poi ha aggiunto anche che il solo "guardare"
è insufficiente. Tuttavia io penso che il pubblico, sia che "tocchi",
sia che venga "toccato", non fa altro che "vedere" con le
mani o con la pelle nuda, quindi in parole povere che esso resti comunque
essenzialmente un osservatore, e quindi, se ci poniamo dal punto di vista dello
spettacolo, resta sempre un estraneo."
IO: "Penso che il regista non
sia un uomo che si esibisce ma
piuttosto un uomo che predispone."
GIORNALISTA: "Ma allora, se è
così, finora, a parte il "mostrare", che cos'altro ha predisposto?
Non potrebbe darmi qualche esempio dalla realtà?"
IO: "In "La guerra dell'oppio" facevo bere
agli spettatori un farmaco per farli addormentare. Perché, partendo dal
presupposto che nel teatro "visivo" di solito il giudizio razionale
fa da mediatore, ho voluto provare a creare un incontro che lo escludesse. Lo
spettatore non cambia per via dell'interpretazione, e si "rialza" dal
venire cambiato fisicamente.
<Testo>
Chi
ha bruciato la
bambola
chi, facendo
finta di niente, ha mangiato la carne [
di manzo?
Era
tanto buona
quanto era stata
ammazzata
1ª ora: massaggi
2ª ora: massaggi
3ª ora: massaggi
4ª ora: massaggi
5ª ora: massaggi
6ª ora: massaggi
7ª ora: massaggi
8ª ora: massaggi
9ª ora: massaggi
Una donna richiama a gesti cantando.
"Ristorante cinese L'Ozio."[14]
Gli
ospiti che entrano nel ristorante, essendo stati in piedi fino a quel momento, si siedono su delle sedie.
"Per il tavolo grande da questa parte."
Dalle pentole della cucina
sale un vapore infernale.
Il cuoco sta rimescolando un
brodo di carne a cui ha aggiunto del sonnifero.
Cornacchie impagliate. Donne deformi.
1. Far toccare le mani dei convitati sul
tavolo.
2. La minestra distribuita un piatto alla
volta.
3. I convitati che la sorseggiano.
4. Lista per il coro:
"Arte della fotografia
sovrannaturale, spirito guida, macchia di sangue, essere spettrale, sentire
voci, chiaroveggenza, scomparsa e apparizione di oggetti, scrittura automatica,
ubiquità, esame scritto, rumori di battiti, visione nel buio, pronuncia
falsificata di altre lingue, perdita della memoria recente, predizione con dei
bastoncini, scriba che scrive su una lavagna di pietra, telepatia, possessione,
voci dall'aldilà, disegno automatico, capacità di riconoscere le proprie
patologie, sindrome da irrigidimento, scrittura copiata, seduta
spiritica."
5. Gli avventori cominciano ad appisolarsi
all'improvviso.
Una
matrigna afferrando un bambino per i capelli lo trascina in giro per la
cucina.
Un gatto salta e il pentolone del brodo di
carne si rovescia.
Nessuno parla, e la scena acquista l'atmosfera di un incubo.
La cameriera ninfomane inizia a mangiare
fiori.
Il servitore masochista vuole salire sul
tagliere e si trasforma nella carne.
Il cuoco gli raccoglie solo gli occhi
dalla minestra. Il fumo si innalza. Gradualmente gli avventori vanno perdendo i
sensi e si addormentano.
In
"La guerra dell'oppio" per prima cosa rinchiudiamo gli
spettatori, i quali, di conseguenza,
cercano l'uscita. Essi, andando
alla ricerca dei personaggi, portano avanti, ad uno ad uno, la propria
esperienza in un dato luogo. Gradualmente si va generando l'immagine di un uomo
inesistente, Han[15] (esule cinese), cioè il teatro della
delusione di massa. (Massenwahn).
Gli ospiti che arrivano all'Ozio sono da trenta a cinquanta (al
tavolo grande ci sono 18 posti gli altri mangiano in piedi). Il sonnifero
impiegato è un nuovo farmaco di fabbricazione giapponese, e per ogni persona ci
vogliono dalle 8 alle 10 compresse.
Si nota una chiara differenza tra l'esperienza durante l'insonnolimento e
quella una volta svegli. Gli spettatori cadono addormentati sul tavolo, e
quando riaprono gli occhi sono spariti personaggi, scenografia e gli altri
spettatori, e, altro che azione dissimilante, non riescono più a capire se
quello che hanno visto sia stato reale o meno. Poi l'esistenza riesce a
prevalere sull'essenza.
Con una prova simile, capace di far crollare le convinzioni interne, introduco,
come avviene nell'esecuzione di Cage, David
Tudor, gli spettatori nella gabbia
e trasformo il teatro "visivo" in teatro di "esperienza personale".
Abbiamo rappresentato questa pièce al Mickery Theatre di Amsterdam per ventuno
giorni; è stato come far vivere agli
spettatori un esperienza personale di "gioco agli indovinelli" o di
"casa degli spettri" e condividere con loro la presenza di un "uomo inesistente"[16].
Il nostro mondo (quello della compagnia e degli spettatori) veniva
colmato da un uomo che non esisteva, e, tramite la ricerca di quest'uomo,
poteva continuare ad esistere finché spettatori e attori si fossero presentati
gli uni agli altri.
Interrompendo, tra il pubblico, i principi della realtà quotidiana, una sera
facciamo intervenire i principi della realtà dell'eros, questo permette di
rinnovare la consapevolezza del pubblico da una sfera all'altra.
IO: "Voglio
dire che, in "La guerra
dell'oppio", Han l'inesistente accetta il ruolo del clown; non mostrandosi, non può essere visto, ma
toccando e facendosi ascoltare, egli libera gli spettatori dalla loro
condizione di schiavitù nei confronti del mondo della continuità temporale.
Inoltre l'idea di "far dormire"
gli spettatori somministrando loro il Burobarin,
rende relativa la forza del "vedere" sostenuta dal senso comune e li
disarma.
"Il clown, oltre a rendere relativa
la ragione e a disarmare, mostra la via per raggiungere una ragione
trascendente" (da "Il mondo
del clown" di Yamaguchi Masao).
Yamaguchi osserva che il clown è in grado di risvegliare un altro sonno che si
annida nel subcosciente degli spettatori."
In
"La guerra dell'oppio" erano previste anche prove del tipo della
seguente:
<TESTO>
All'entrata gli spettatori trovavano nella
prima stanzetta il seguente cartello:
1. "Prego, aprite la serratura ed
entrate nella stanza successiva."
Gli spettatori che seguivano l'invito, nella seconda stanzetta trovavano un
altro cartello:
2. "Prego, appendete la giacca alla
stampella ed entrate nella prossima stanza."
Gli spettatori che vi entravano trovavano al centro della terza stanzetta una
sedia di ferro da tortura, con delle cinghie, e il cartello:
3. "Accomodatevi sulla sedia."
A questo punto, se gli spettatori si sedevano, usciva una mano che voltava
il primo cartello e appariva:
4. "Legatevi le caviglie con le
cinghie."
Fatto ciò usciva di nuovo la mano e voltava un altro cartello:
5. "Legatevi anche la vita."
Una volta eseguito l'ordine la mano voltava di nuovo il cartello:
6. "Legatevi il collo."
Legato anche il collo riusciva la mano e voltava un altro cartello:
7. "Fate una benda con la stoffa qui
al lato."
Se gli spettatori avevano eseguito correttamente ogni comando non potevano
più muoversi né vedere.
A questo punto compariva uno schiavo completamente intriso di olio d'oliva che
fotografava gli spettatori che si erano legati, con una Polaroid; poi, dopo
aver fatto ascoltare loro "Lettera di un Cieco", lo schiavo
toglieva la benda agli spettatori e davanti ai loro occhi appariva un cavallo
in carne ed ossa!
Si tratta della scena dello studio fotografico per soli uomini Adone. Questo tipo di spettacolo poteva
essere fatto sperimentare ad un solo spettatore per sera, al massimo a
due. Anche in questo caso la ragione
degli spettatori viene resa relativa; nella ricerca dell'adesione completa al
dramma puro: cerchiamo di illuminare verso la molteplicità.
Perciò quanto dicevo prima, circa la nostra idea di creare solo la metà dello
spettacolo e la scelta di questo tipo di spettatore, voleva intendere che sono
le azioni di quest'ultimo a fare teatro. Sia gli avventori del ristorante l'Ozio, sia quelli dello studio
fotografico Adone, sia quelli della "Prigione Sotterranea", così
come quelli del "Tavolo
Operatorio" e quelli della
"Nave che Affonda", avevano ciascuno la propria esperienza
individuale, ognuno veniva costretto ad uscire al di fuori della propria realtà
quotidiana; tramite il processo di drammatizzazione della realtà, lo spettatore
diventava anche indipendente, e mentre recedeva all'interno del proprio io,
contemporaneamente, come fenomeno collettivo costruiva uno "spettacolo".
Questo tentativo, visto come astrazione dell'esperienza spirituale, rappresenta
l'occhio dell'immaginazione teatrale che "guarda senza vedere".
Esso costituisce una fuga dallo
"spettatore guardone in una camera
oscura": è il teatro costruito per metà dal pubblico.
[1]Letteralmente Higan, aldilà.
[2]Peter
Handke, scrittore e commediografo austriaco (1942). Inizialmente si è
riconosciuto nella poetica sperimentale
della Neoavanguardia. Nei primi romanzi ha rinunciato all'azione come struttura
portante. Sono esempi di letteratura descrittiva. La polemica contro le
convenzioni letterarie si fa più radicale nelle sue
"commedie" Insulti al Pubblico (1966)
e Autodiffamazione. Esse denunciano
la lingua come strumento di condizionamento e dominio.
[3]Jean
Genet Scrittore e drammaturgo francese (1910-1986) Dotato di una vena ironica,
toni aspri e irridenti. La sua arte è
composta da un surrealismo corposo in cui il tema dell'assurdo si fonde con una
realtà
quotidiana acida e dissacrante. Letto e recitato in tutto il mondo.
[4]Nell'originale
Hoissura, dall'inglese whistler, ossia colui che fischia.
Probabilmente nelle partite di football americano, con questo termine si indica
una sorta di arbitro di gioco o di guardalinee.
[5]Nel
football americano è quella linea, situata agli estremi del campo, che il
pallone deve superare per realizzare un punto.
[6]John
Cage: compositore statunitense (1912) tra i maggiori esponenti della musica
d'avanguardia contemporanea
[7]Nel
testo originale "Tyûdoa".
[8]Nel
testo originale usa la parola KYOKÔ: finzione, immaginario.
[9]Strumento
ottico che sfrutta la rifrazione della luce per riprodurre su una parete di una
scatola buia l’immagine capovolta che entra nella scatola sotto forma di
raggi di luce attraverso un foro aperto nella scatola stessa. Lo stesso
principio venne sfruttato più tardi nella camera fotografica.
[10]Henri
Barbesse scrittore francese (1873-1934).
Col romanzo L'Inferno
(1908) scelse la strada di scrittore rivoluzionario, consacrata nel 1916 da
Il fuoco, una delle più
realistiche e atroci rappresentazioni degli orrori della guerra
[11]Narratrice
francese di origine russa. (1902).
Per il suo carattere di ricerca e di rottura con la
tradizione, la sua opera è assimilata a quella del Nouveau-Roman nella critica alla logica del "personaggio". Ha tentato ipotesi narrative distinte,
tese soprattutto a restituire il "flusso senza fine" della vita
reale. Ha scritto anche per il teatro. Tra le sue opere da ricordare Ritratto d'ignoto (1949), Il planetario (1959) e Infanzia (1983).
[12]Nome
usato dai giapponesi per etichettare gli stranieri in particolare gli
occidentali.
[13]Nomi
di compagnie teatrali, rispettivamente: Corporazione letteraria,
Corporazione di attori, Gli artigiani
del palco.
[14]negozio
all'interno del teatro.
[15]L'ideogramma
con cui è
scritto questo nome, significa 'colpevole'.
[16]Questo
fantomatico Han, l'uomo inesistente, potrebbe corrispondere a Hans Brummer, il misterioso
fattorino della posta centrale di Amsterdam descritto a pag. 50.