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PARTE IIª
- DALLA PARTE DELLO SPETTATORE

 

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CAPITOLO 1°

"NON ERA MEGLIO HITLER?
"

La rivista "der Spiegel" del 23 ottobre 1973, riferendosi ad un violento scontro tra gli attori e alcuni spettatori  si chiedeva "Non era meglio Hitler?".

Il critico berlinese Roland H. Wiegenstein, mentre si apprestava a lasciare anzitempo il teatro, era rimasto rinchiuso con la moglie nella più completa oscurità senza riuscire a capire cosa stesse succedendo, con il fumo che avvolgeva la platea e l'uscita bloccata. Wiegenstein senza riflettere aveva preso per mano la moglie e si era messo a gridare "Ma questi sono colpi di karate e follia a mo' di Faust!" Mentre stava per uscire all'esterno, gli assistenti dell'estroso regista trentaseienne, incappucciati e vestiti di nero, gli sbarrarono il passo per impedire che uscisse, e lui purtroppo ha reagito con violenza.
La notizia di questo incidente, riportata sullo Spiegel, rimbalzò sulle pagine locali, con toni sensazionali, in titoli come: "La peste venuta dal Giappone", "Lo scandalo senza linguaggio", "Rumori e fumo" (Con una citazione dalla poesia di Goethe, "Minaccia apparente") e così via sullo stesso tono. L'autore dell'articolo sullo Spiegel e con lui gli intellettuali progressisti che "propugnano la riforma e allo stesso tempo temono la violenza", a partire dal rapporto dettagliato su questo incidente,  hanno pensato bene modificare la domanda ai lettori intervistati su questo caso, scagliandosi in modo veemente contro il gruppo teatrale che ha osato sollevare dubbi sulla realtà di un teatro che imita il mondo. Seguendo la stessa linea, il giornalista autore dell'articolo intitolato "Non era meglio Hitler?"  vi ha aggiunto il sottotitolo "Il delirio dei critici e la novità venuta dal Giappone."  Presentando minuziosamente le asserzioni di questo spettacolo venuto dal Paese del Sol Levante, lo ha inoltre accostato ad un avvenimento accaduto al München Olimpic, ("contemporaneamente si effettuava il massacro di Fürstenveld").

Un filo inafferrabile lega questi due fatti incresciosi, unendo i poliziotti che vengono giudicati nello spettacolo, a quelli veri fuori dello spettacolo.
Inutile dire che questo gruppo paragonato alla peste fa parte del mio laboratorio teatrale: il Tenjô Sajiki, e che lo spettacolo responsabile dell'incidente è la mia pièce  Jashûmon.

In questa sede, più che riportare la traduzione del 'benevolo' articolo dello Spiegel, essendo io la parte in questione, ritengo sia più appropriato riportare la mia versione dei fatti.
Quel giorno Roland H. Wiegenstein era venuto alla prima di Jashûmon insieme alla moglie ma, "chissà perché", non erano stati riservati i posti per la critica. Per questa ragione si è infuriato. La platea era immersa nel buio e piena di fumo e gli spettatori che stavano per sedersi avevano l'urgenza di "cercare il proprio posto".
Era la prima volta che riceveva un simile trattamento, ed essendo un critico quotato, era uscito all'esterno della sala per chiedere spiegazioni, ma era stato costretto a tornare indietro, e, come se non bastasse, a vedere lo spettacolo in piedi dietro l'ultima fila, perché in questo spettacolo appena finiti di entrare gli spettatori, venivano chiuse le porte e l'interno del teatro si trasformava in una enorme stanza segreta.

Gli uomini in nero hanno il potere di amministrare l'intero andamento della fiction manipolando gli attori, costruendo la trama, regolando l'illuminazione; da queste operazioni inizia la  liberazione: gli attori cercavano di liberarsi dalla "natura del ruolo", diventando essi stessi la trama.
Di solito gli uomini in nero "ispezionano" anche la platea e la trama viene costruita anche dagli spettatori che ostacolano lo svolgersi dello spettacolo rispetto a come gli attori lo pensano, come se questa reazione, invece di costituire un ostacolo, aumenti la forza degli attori.
Naturalmente anche gli spettatori che durante un simile spettacolo ne impediscono lo svolgimento o quelli che vorrebbero annientarlo sono attori, così come ci sono spettatori resi attori dall'abito nero, costretti a recitare una parte.
Lo spettacolo si svolge nella sala immersa nell'oscurità. A seconda dei casi, nel corso del suo svolgimento si viene interrotti, o si è indotti a proseguire la storia che si sta creando, senza poter sapere a chi appartenga la mano da cui si è stati afferrati. Si viene trascinati violentemente sul palco e si è costretti a indossare costumi di scena;  gli attori (spettatori a cui è stato fatto recitare un ruolo) incutono paura agli altri spettatori ancora passivi, e il teatro diventa una grande casa degli spettri.

I cannibali dell'oscurità. Le masse nere. La cerimonia magica.

Se gli spettatori a cui viene fatta proseguire la storia si oppongono agli uomini vestiti di nero, devono sostenere loro stessi il ruolo di attori, e se vogliono uscire fuori dal ruolo, devono costruirsi con le loro mani una via d'uscita, scontrandosi con i neri. I dettagli di queste azioni formano, così come avvengono, lo spettacolo Jashûmon.

Quando il rapporto tra coloro che vengono guardati e coloro che guardano, intersecati in modi differenti, fa parte di un'unica esperienza collettiva, il teatro si tramuta in divertimento estemporaneo, lasciando a metà lo svolgimento del copione, e andando oltre, ma Roland H. Wiegenstein, nel bel mezzo dello spettacolo, ha cercato di uscire trascinandosi la moglie per mano, e così un uomo in nero gli ha sbarrato la strada verso l'uscita. Wiegenstein asseriva urlando che è un privilegio del pubblico quello di essere libero di lasciare la sala in qualsiasi momento, ma l'uomo in nero non retrocedeva dalla sua posizione, quindi la signora, ha reagito dando una spinta violenta al nero ed è stata spinta a sua volta da quest'ultimo. Ecco il riassunto approssimativo dell'accaduto.

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CAPITOLO 2°

LA PROVA DI TOCCARE IL PUBBLICO.

 

I problemi sono due:
1. Quale sia il limite alle espressioni violente all'interno del teatro.
2. Fino a che punto può arrivare il contatto tra attori e pubblico in teatro.

Questo episodio è un avvenimento comune e non è attribuibile ad una nostra pecca, è accaduto ciò che doveva succedere, voglio dire che la vicenda ha origine nella "teoria dello spettatore" propria del nostro teatro e mi piacerebbe  avere l'opportunità di discutere con Wiegensten su questo problema, perché secondo me  potrebbe essere significativo riesaminare la violenza in Jashûmon dal momento che le sue rappresentazioni hanno prodotto, oltre allo spargimento di sangue nella città di Novi Sad in Yugoslavia, gli accadimenti violenti in molte altre città europee.

Il primo Ottobre nella hall del Forum Theatre, ci siamo incontrati io, Wiegenstein, il direttore del Forum, Klaus Hoser e un giornalista della testata locale Âbend Zeiten, e abbiamo dato il via ad un dibattito aperto al pubblico.
Sono stato io il primo ad aprire il dibattito:
IO: "Signor Wiegenstein, che cosa ne pensa del fatto che nel mio teatro, nel bel mezzo della rappresentazione, gli attori 'tocchino' il pubblico?."
WIEGENSTEIN: "Mi pare che la domanda sia lievemente inesatta. Secondo me la questione sta, più che nel chiedersi se sia bene o meno che gli attori abbiano contatto diretto col pubblico, domandarsi se sia lecito che gli attori abbiano di proposito nei confronti del pubblico atteggiamenti violenti."
IO: "Però, secondo noi, la cosa più importante è che se questa 'violenza' avviene tra gli attori, lo spettatore perde l'occasione di vederla come un'espressione."
WIEGENSTEIN: "..."
IO: "Mi spiego meglio: la mia domanda è se questa violenza sia un fatto interno allo spettacolo oppure un fatto esterno. Inoltre penso che il problema dipenda anche da quale fosse la sua posizione come spettatore all'interno della sala."
WIEGENSTEIN: "In questo caso la risposta è semplice: gli attori saranno anche stati nello spettacolo ma io e mia moglie ne eravamo fuori. Il karate è balzato fuori dello spettacolo. In quanto agli spettatori erano persone al di fuori dello spettacolo, e non era certo usando la violenza che potevano essere risucchiate al suo interno."
IO: "A questo punto, signor Wiegenstein, mi viene naturale chiedermi se la sua struttura dello spettacolo sia o meno uguale alla nostra."
WIEGENSTEIN: "Se la pone in questo modo...  Ho l'impressione che per voi l'atteggiamento violento fosse un elemento interno allo spettacolo."
IO: "Nel caso in cui la violenza sia un fatto interno allo spettacolo (quando cioè questa debba essere perseguita legalmente) devono farlo gli agenti di polizia interni allo spettacolo. La polizia di Berlino non può arrestare l'omicida di una tragedia shakespeariana, allo stesso modo commetterebbe un comico errore controllando l'interno dello spettacolo con i principi della realtà quotidiana; però nel nostro caso, penso che si debba iniziare a discutere partendo dalla sua opinione sul fatto di 'toccare', dall'interno dello spettacolo, le persone che sono fuori e chiarire il confine tra dentro e fuori, perché questo è alla base di tutto, e lei dichiara di essere stato, come spettatore, al di fuori dello spettacolo."

E gli ho fatto un altro esempio prendendo come termine di paragone il Paradise Now di Julian Beck al Living Theatre. Perché anche se l'operato di queste persone che si vantavano di essere il teatro rivoluzionario, degli anarchici non violenti, il teatro dell'ardente sogno politico e spirituale, è tutt'altra cosa dal nostro, tuttavia anche loro con il 'toccare' il pubblico intendevano dar vita ad una creazione reciproca:
"Gli interpreti costruiscono un albero. E' l'albero della saggezza. Gli attori che rappresentano i rami superiori salgono sulle spalle dell'attore che rappresenta il tronco. Il testo, che inizia con la descrizione dell'albero, prepara il pubblico a rappresentare l'intero processo.         (Omissis)
Poi  l'albero si sparpaglia e gli attori che lo costituivano passano attraverso il pubblico e si dirigono verso le uscite del teatro, portando a cavalcioni gli spettatori o salendo in spalla al pubblico"
(La rivelazione della resurrezione e demolizione del mito dell'Eden)

"Iniziano a rappresentare la morte. Le forze si indeboliscono, il respiro cessa, la vista si oscura, il mondo si separa da loro.

Poi emettendo la voce, così come era prima, si rannicchiano come se sprofondassero nella terra. Mostrando presagi di morte, conferiscono la loro energia finale e i loro spasmi alle persone circostanti.

Provocando a vicenda una corrente elettrica da contatto.

Ed è proprio da questo contatto che essi resuscitano.

Nel momento in cui si scambiano l'ultimo guizzo d'energia, questo li ricarica, e si risvegliano vivi e rinati. Lampo. E' l'immagine della morte sconfitta in anticipo nel contatto tra "Io" (attore) e "Tu" (spettatore),".  (La cerimonia tua e mia.)"

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CAPITOLO 3°

IL RITORNO DELLA CAPACITÀ D'IMMAGINAZIONE

 

Ho visto Paradise Now del Living Theatre alla Round House di Londra.
Nel corso della rappresentazione di quella sera gli attori abbracciavano gli spettatori e li baciavano, il pubblico a sua volta carezzava gli attori;  ho avuto subito l'impressione che Io e Tu si realizzassero: in principio Spettatore non esisteva, ed essendo una creazione, venne chiamato Tu da Attore, a partire dal momento in cui ebbero la possibilità di 'toccarsi'. Gli spettatori da  allora non furono più gli spettatori che erano stati fino a quel momento, possiamo dire che fossero stati trasformati in personaggi, che recitavano un ruolo.
Questo spettacolo fungeva da mediatore tra un'esperienza reciproca tra attori e pubblico con cui gli spettatori potessero capire il mondo, e una procedura estremamente allegorica, rituale. Contemporaneamente, manteneva un determinato ordine come teatro e anche come realtà mondiale. Per questi motivi ritengo che sia ininfluente descrivere la trama. I principi della realtà quotidiana necessitano di una drammaturgia (fiction), che costituisce un surrogato utile a mantenere un ordine sociale, affinché la finzione entri nella realtà quotidiana. Una volta realizzata la finzione, i lineamenti dei principi della realtà quotidiana si chiariscono. Di conseguenza questi principi di solito sono incentrati su di una drammaturgia che nella realtà non esiste.
Brecht si chiedeva se il teatro potesse riprodurre il mondo, ma il teatro senza il bisogno di "riprodurre" ha la capacità di realizzare di per sé un mondo distinto. Se chiamiamo il mondo che, secondo i canoni brechtiani, si doveva riprodurre nel teatro "mondo storico", dovremo chiamare quello "realizzato", secondo la nuova concezione del teatro, mondo magico o rituale: ciò che "non era altro che un semplice fatto alla luce della storia", si colora così con un'azione che sa di mito e di eroi e, sotto un altro punto di vista, manifesta un potere magico, che fornisce un indizio per ottenere una comprensione unitaria.
Il mondo dell'Io attore è quello rituale, reso a priori drammaturgia, ma il mondo dello spettatore che viene toccato dalla mano di Attore e viene chiamato Tu esige forzatamente una scelta, nei principi della realtà quotidiana.
Dal momento che gli attori sono dei sostituti degli spettatori, essi possiedono la faccia del mago e cercano di diffondere un'infezione da contatto che si propaghi al pubblico e lo faccia esistere in maniera teatrale. Questa regola - ossia il contagio magico (contagious magic), l'azione reciproca iniziata con il toccare - prolunga la reazione fino a dopo che il contatto è finito. Manca, in questa relazione tra Attore e Spettatore, il concetto scientifico:  essa non è altro che far nascere la fantasia, che si propaga con il contatto, dando luogo in questo modo all'unione astratta; questo nuovo tipo di rapporto cancella del tutto la relazione di classe tra "attore" e "spettatore". Il fatto che abbiano la possibilità di 'toccarsi'   significa che entrambi stanno a capo di questa nuova realtà a dimensione unificata, perché nei sogni non si può toccare, così come è impossibile farlo con il passato e con il futuro.
Finora gli attori non sono stati che un simbolo per il pubblico, le vicende sulla scena, realtà imitata, che traduceva quelle del mondo storico, mutandone il linguaggio; e si pensava che riprodurre e restaurare fosse "teatro".

Walter Benjamin e Brecht, definiscono il concetto di teatro come "arte della riproduzione". Essi fanno si che la gestualità degli attori venga ripresa nella realtà quotidiana e sottolineano l'effetto educativo e la forza d'influenza del teatro. In questo caso il pubblico è "la parte che riceve", mentre attori e registi sono "la parte che dà". La trasmissione avviene in maniera unilaterale e non essendo biunivoca  lo spettatore non ha la possibilità di prender parte alla "costruzione del teatro".
Tuttavia  il teatro moderno da Brecht in poi, è stato manipolato a piacimento da attori e registi, per creare uno spazio utile per introdurre concetti scientifici. E così gli spettatori non sono altro che "guardoni legittimati" e gli attori nient'altro se non  mammiferi che "interpretano" gesti e azioni altrui. La realtà all'interno del teatro è morta, non esiste che la sua imitazione simbolizzata.

Quando gli spettatori hanno cominciato a rendersi conto che il teatro altro non è se non una scena di un altro mondo[1], la fantasia è diventata uno dei mezzi possibili per comprendere e per conoscere un teatro sostenuto (per quanto concerne la struttura) da una duplicazione di Io e Tu, di realtà e finzione. Come simbolo non c'è l'attore, né  tantomeno la recitazione, intesa come gusto esibizionistico che consente una fuga da se stessi, perché anche il teatro ha bisogno ancora di un mito per poter creare una relazione che cambi il sangue.

 

IO: "Pensa che nel caso in cui gli attori non arrivino alla violenza con gli spettatori, e si limitino ad accarezzarli e a baciarli, allora sia lecito che 'tocchino' gli spettatori?"
WIEGENSTEIN: "In teoria è così, ma la pratica può essere diversa."
IO: "Penso che qui si debba discutere individualmente sul problema della violenza. Stare a discutere sul bene o male della violenza è un problema che riguarda l'etica e il compito di discuterne è riservato alla saggistica. Per di più penso che ogni opera drammaturgica contenga al suo interno della violenza, e che il concetto di conflitto sia dato in teatro dalla violenza in sé e per sé. Ma di questo parlerò ancora in seguito. Il problema, in questo caso, è se il teatro debba limitarsi alla scena, o accettare l'azione reciproca tra Io e Tu, o, ancora, lasciar avvenire il contatto tra realtà e finzione, o costruire una nuova finzione."
WIEGENSTEIN: "Se la pone in questi termini, penso sicuramente che gli attori non debbano toccare il pubblico. Ho conosciuto bene W. Benjamin di persona e penso che la sua idea di teatro sia tutt'oggi valida."
IO: "Dice...?"
WIEGENSTEIN: "Il tentativo del Living Theatre non è teatro, è solamente uno happening."
IO: "Quando ho visto 'Paradise Now' uno spettatore si è messo a gridare rabbioso: "E' ridicolo, smettetela!" Così uno degli attori gli ha gridato a sua volta: "Se è così ridicolo perché non vieni a renderlo interessante?". Prendendo spunto anche da una sola parte nata all'interno dell'azione reciproca, si può ricostituire qualunque cosa.
Affinché il teatro arrivi a completare una "realtà mitologica ancora informe", non c'è altro mezzo che il pubblico di ogni singola serata.

Nel teatro come lo pensa lei, l'autore monopolizza trama e mezzo di trasmissione e li spinge verso gli spettatori; ma una mentalità simile è classista e non può essere altro che un semplice cane da guardia a protezione della storia."
WIEGENSTEIN: "In ogni caso il teatro non può produrre azioni reciproche a pari livello tra spettatori e attori,  perché i primi sono ignari di cosa li attende, mentre gli attori sanno a priori cosa accadrà e sono preparati a reagire ai possibili eventi." Voglio dire che questa è un'altra manipolazione del termine azione reciproca, è una trappola."
IO: "Sì, però, è una trappola dell'immaginazione, appostata allo scopo di organizzare un'incontro casuale. In particolare, nel nostro caso, l'"incontro" costituisce proprio il contenuto dello spettacolo, e per questo penso che anche questo 'ricorrere a qualsiasi mezzo', si possa considerare fare teatro. Inoltre sento il teatro in cui lo spettatore è anonimo e solo l'attore recita presentandosi, come una disarmonia. Originariamente, anche il pubblico doveva avere un volto, doveva "presentarsi", per questo dall'incontro doveva emergere una unificazione.

Brecht estranea gli spettatori dai personaggi e rifiuta ogni uso del sentimento; solitamente, per poter separare tranquillamente le due parti, crea un outsider, lo spettatore, che retrocedendo da solo verso l'interno, produce le "persone altro da sé",  le quali servono solo a trasmettere la conoscenza. Un simile puritanesimo, dopo tutto, non era altro che l'offerta di una forma di dissimulazione a persone che non erano in grado di comprendere il mondo come simbolo.

In qualche caso bastonare gli spettatori, ipnotizzarli, accarezzarli, genera un'identificazione dovuta al fatto di condividere questa esperienza (che non riduce alla conoscenza). Questo, per me, è teatro."

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CAPITOLO 4 

IL MONDO VISTO DALLO SPETTATORE

 

WIEGENSTEIN: "Mia moglie ha la bronchite perciò quell'assurda inondazione di fumo le ha completamente danneggiato la gola."
IO: "Ma perché una donna malata di bronchite è venuta a partecipare ad un mio spettacolo? Penso che sua moglie non avrebbe dovuto prender parte ad una dimostrazione fin quando non fosse completamente guarita. Perché se fosse capitata in una dimostrazione militare o della polizia, di quelle in cui vengono lanciati dei gas lacrimogeni, la sua malattia sarebbe peggiorata. Penso anche che per sua moglie sarebbe stato meglio non giocare neanche a tennis o nuotare fino alla guarigione. Perché allora è venuta a teatro?"
WIEGENSTEIN: "Riteneva che la platea fosse una zona sicura, credo. Almeno fino a questo momento lo era stata."
IO: "Questo fino all'avvento del teatro moderno, ma da Antonin Artaud in poi non è raro trovare spettacoli che abbiano il realismo delle dimostrazioni, anche senza arrivare al contatto fisico, essere inaspettatamente illuminati da un riflettore, essere inzuppati d'acqua, venire ricoperti di ingiurie. In "Insulti al pubblico", di Peter Handke
[2], gli spettatori vengono ingiuriati, additati, derisi e qualche volta gli attori gli sputano contro.
 In "Balcon", di Jean Genet
[3], nel dialogo finale gli attori respingono gli spettatori dicendo loro: "E adesso tornatevene pure senza perder tempo a casa vostra, posto in cui c'è più menzogna che qui." Si può dire che un simile esperimento non si limiti a  costituire un attacco alla bourgeoisi rappresentata dal pubblico,  esso può diventare anche uno spunto che induca ad incontri reciproci. Noi prima di Jashûmon  abbiamo provato molte volte ad ottenere questo tipo di rapporto. uno degli spettacoli che prevedevano uno scambio di azioni con gli spettatori era Li Facciamo Presentare; la realtà quotidiana degli spettatori prendeva il posto degli attori e nella visione mondiale di teatro come rito, provai ad inserire anche loro nella finzione per sperimentare se sia possibile o meno che questa venga condivisa tra attori e pubblico."

 

ARBITRO[4]: "In ogni caso, anche se, d'ora in poi, si avviassero le prove di Teoria sulla Felicità seguendo le regole del football americano, questo non significherebbe certamente giocare."
IO: "Noi desideriamo da sempre presentarci. Lo facciamo ad esempio con una palla. Questa palla! Durante un passaggio viene lanciata oltre la linea di meta
[5]; vedo l'auto presentazione a teatro come l'allenamento per arrivare alla zona finale superando con un passaggio la linea di meta. Questa palla viene lanciata dalla platea, visto che in questo caso non è possibile un gioco in corsa, ci si deve limitare ai passaggi. Se si perde la palla, essa ritorna in mano allo spettatore. Tenere la palla per più di un minuto rappresenta un'infrazione."

 

    uomini: attori    1 2 3 4 5   ü

                                                     ý      disposizione

    donne:  attrici    1 2 3 4 5  þ

 

(La difesa dell'Oklahoma oppure formazione 5 - 4.
Quattro Line men (E.T.T.E.) e inoltre  un difensore centrale, contro l'attaccante centrale.
  Fischio.
 La persona che prende la palla lanciata in platea ha il diritto di parlare, deve passare entro un minuto.)

"ESEMPIO":

1° UOMO: "Cerco un vecchio amico. Sono un uomo di 42 anni, fiducioso nell'amicizia sincera, non ti disturberò per tutta la vita."

2º UOMO: "Sono un divertimento per soli uomini!

Sono sicuro di poterti soddisfare completamente nel corpo e nella mente.

Naturalmente dovrai mantenere strettamente il segreto." Sakitama N.K.

3° UOMO: "Scrivetemi, per favore. Se avete i miei gusti, francobolli e foto di nudo maschile, lacci di perizoma e così via, che vorrei scambiare con  persone che condividono i miei gusti."  Narcisista di Fukuoka.

 

Questa è una parte della prima rappresentazione avvenuta nel 1969 di I Tempi a Cavallo dell'Elefante Circense del Tenjô Sajiki. La rappresentazione avvenne  in un piccolo teatro, la palla che inizialmente era prevista solo per gli attori, con un lancio sbagliato, un giorno finì in platea. Da quel momento divenne una formula regolare far presentare lo spettatore che la prendeva, così ogni giorno "abbiamo visto il volto del pubblico".
Per quanto riguarda lo spettacolo, l'iniziativa non si limitò al giorno in cui abbiamo trovato questo nuovo metodo, per gli interpreti era diventata una nuova esperienza. Gli spettatori che fino a quel momento, nell'oscurità, come una massa anonima, aspecifica e giudice, oppure come guardoni, non avevano mai mostrato veramente il loro aspetto reale, ora rivelavano il loro volto. In seguito gli incontri accrebbero il circuito possibile.

Se iniziamo con il "guardare gli spettatori in faccia", il seguito naturale di questa azione non sarà altro che l'identificazione con gli spettatori e il trovare un metodo di polarizzazione.

 

IO: "Costruisco un teatro che non può esistere senza la partecipazione del pubblico: trasportando gli spettatori con degli autobus, o ancora facendo talvolta bere loro nei ristorantini all'interno del teatro delle zuppe al sonnifero e chiudendoli poi in stanze segrete, propongo loro degli enigmi.

In Il Delitto del Dottor Caligari" gli spettatori vedono solo una parte dello spettacolo, il resto devono ricostruirlo con la propria fantasia, questo per far loro comprendere che mito e fantasia sono estremamente importanti per comprendere il mondo in maniera unitaria.

La conclusione è che noi, in qualsiasi situazione, non possiamo creare più della metà dello spettacolo. L'altra metà la costruiscono gli spettatori.

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CAPITOLO 5 

IL PUBBLICO ALLA RICERCA DEL PERSONAGGIO

 

Un attore indicando il pubblico dice: "Lorsignori saranno il tema della serata, il centro delle notizie.", un altro: "In questa sede non siete più persone, né possedete caratteristiche peculiari; gli stessi visi non cambiano poi di molto. Non avete personalità, né carattere, né fato, né storia, né passato. Cosa siete? Un vero e proprio identikit. Non avete esperienza di vita, l'unica cosa che avete è l'esperienza di andare a teatro."
"Ma che visetti compunti! State sicuramente pensando qui sta l'alto e lì il basso, vero? Perché iniziate a capire che ci sono due mondi, non è così? Naturalmente! Proprio una buona conoscenza del teatro. E molto approfondita!".

"Se si sta in piedi si può curiosare meglio, no? Non è che facciamo studi d'anatomia ma è logico che se state in piedi i fischi dovrebbero riuscirvi molto più forti e anche i pugni ben più potenti. Se è libero di muoversi, uno spirito ostinato, ha modo manifestare la propria caparbietà, e poi essendo liberi di gironzolare ci si può spostare a volontà."

Poi continuando ad incolpare gli spettatori per la loro passività, (oppure quelli che fischiano e rispondono) gli attori inviano al pubblico l'ultimo saluto: "Siete stati degli attori incantevoli. Rispondete perfettamente alle nostre aspettative: sciocchi, compagni privi di madre patria, specie di rivoluzionari, esiliati per motivi ideologici, gente indietro coi tempi, disgrazie, militaristi, fascisti, nichilisti, individualisti, gruppisti, minoranza politica, mendicanti di applausi, decaduti, cibo per porci, vetrine, attori di carattere, attori umani, uomini di teatro mondiale, silenzio della terra, divini malviventi, vecchi fans, atei, edizioni economiche, stampe, pietre miliari nella storia del teatro, morbo della peste occulta, anime immortali, autorità dell'apprendimento, stolta nobiltà, marcia borghesia..." (E così via, si può continuare senza limiti.)  Si tratta di un estratto da Insulti al Pubblico (publikumsbeschimpfung) di Peter Handke.

Dal momento che gli spettatori che hanno assistito a questo spettacolo al Forum Theater di Berlino, venivano inclusi nello spettacolo che dialogassero o meno, prima o poi il loro coinvolgimento era assicurato: applaudivano, scoppiavano a ridere e alla fine si sottomettevano al fascino dell'attore. Generalmente gli spettatori all'interno dello spettacolo, impegnano i sensi (mente e intelletto) in un'autodifesa quasi egoista e malvagia, e pur sentendosi come dei "visitatori allo zoo", temendo di poter finire nelle gabbie,  ci "privano delle nostre zanne", ossia della nuova arte che mira al crollo psicologico dello spettatore, avallata, uno dopo l'altro, dai nomi alla moda, e ci rinchiudono nella "gabbia della storia". Questo atteggiamento è dovuto all'istinto di autodifesa degli spettatori.  (Teorie sugli spettatori moderni. - Higashino Yomei)

Però secondo noi i casi sono due: o si libera il teatro dalla "gabbia della storia", oppure si infilano nella gabbia anche gli spettatori; altrimenti l'"incontro" non può avvenire. Perciò prima di tutto è necessario iniziare dalla verifica della gabbia. 
Ad esempio il compositore John Cage
[6] pensa solo una parte della musica, usandola come uno strumento per produrre il crollo interiore degli ascoltatori e affida a questi ultimi la parte restante della performance. Dispone sulla piattaforma dell'auditorio macchine del tipo "lo scienziato pazzo del film Frankenstein" oppure radio registratori, giradischi, apparecchi fotoelettrici, ricetrasmittenti, riceventi ad onde corte, amplificatori disposti disordinatamente, in modo che siano gli spettatori a suonarli. Essi possono suonare, parlare, ridere, far rumore a piacimento, congiungendosi così a John Cage, il manovratore di tutti questi strumenti, e la performance di David Tudor[7] si trasforma in opera.

Al 3° Experimenta (festival internazionale del teatro sperimentale)  che si è tenuto nel 1969 a Francoforte, nella pièce rappresentata con a capo il professor Brown Non accade che una volta avvenne qualcosa di simile ad un esperimento clinico.
Nel T.A.T. (Theater Am Term) all'alzarsi del sipario, era stata allestita una scenografia banale. Essendo sempre lo stesso scenario di inizio di  Hedda Gabbler o Casa di Bambola gli spettatori venuti ad assistere agli Experimenta scoppiarono a ridere; a 10 minuti dall'apertura del sipario non apparivano né Nora né Hedda e gli spettatori cominciavano gradualmente a rumoreggiare. Alla fine dei giovani spettatori impazienti balzarono sul palco e si andarono a sedere sul sofà di rimpetto alla platea.

Un ragazzo prese una sigaretta da un piccolo contenitore sul tavolo e l'accese, una ragazza lo guardava fiduciosa. Quindi salì sul palco un altro ragazzo e lentamente si mise a camminare e a farsi vedere, un altro si mise sotto un riflettore e iniziò a leggere Il Capitale di Marx.
Questi ragazzi impedivano che ci fossero spettatori e fans, e lacerando l'armoniosa relazione tra vedere ed essere visti, erano diventati dei martiri del teatro della partecipazione. In questo caso la drammaturgia consiste nell'idea per cui, grazie all'assenza dello spazio, chiunque può salire sul palco e possedere il mito.

Quel genere di spettatori  privi della consapevolezza di essere interessati al "teatro" non possono essere "spettatori di teatro". Comunque sia non può esistere la concezione di spettatori = "massa" o "moltitudine indistinta", e  tantomeno ci si aspetta che ci sia.

Come scriveva Rosenberg:  "La teoria che si domanda se questo genere d'arte possa trasmettere qualcosa alla massa di spettatori è più o meno corrispondente al tentativo di spaventare una torma di fantasmi, e di sfidarli: cose anacronistiche ed inutili.".  Il teatro vuole un incontro e regola la fantasia di gruppo scegliendo spettatori che cerchino i personaggi. Se l'"incontro" non produce una trasformazione del mondo interiore del partner, esso è sterile.

Qualsiasi  forma di espressione, persino quella del "visitatore dello zoo",  non ha alcuna necessità degli spettatori appartenenti alla fascia sicura. Il  "sistema parlamentare rappresentativo" nel caso dell'espressione teatrale deve essere gettato via a due mediterranei di distanza dalla politica del sistema teatrale. Un giornalista dello Abend Zeitung mi chiese:
GIORNALISTA: "Quindi, in definitiva, il suo teatro, avendo a che fare con spettatori speciali  e selezionati ed essendo un divertimento egocentrico tra questi e voi soltanto, non diventa forse qualcosa di simile ad un 'party'?"
IO: "Più che 'party' penso che si possa avvicinare ad una sorta di cerimonia magica, questo almeno nella coscienza dello spettatore."
GIORNALISTA:
"Mi spieghi meglio."
IO: "Ho letto con molto piacere e interesse "Elementi magici" di Marcel Mauss. In questo saggio Mauss scrive: "Spesso il mago è designato dall'organizzazione magica di cui egli stesso fa parte, ma di solito egli è designato dalla società in genere. Le azioni del mago seguono il cerimoniale e attenendosi alla tradizione la perpetuano.
Le  immagini hanno il valore di astrazioni dell'esistenza spirituale; in alcune situazioni esse vengono riprese in una sfera diversa da quella della vita sociale,  per capire se siano prodotte o meno dall'esperienza individuale, ci si deve rivolgere alla ricerca sulla religione (come argomento)."  In questo caso penso che si possa vedere l'attore come il mago, il teatro come la magia, e il pubblico come il popolo che permette a questa magia di verificarsi. Perché il teatro è estratto dalla realtà sociale quotidiana per opera della finzione
[8] e allo stesso tempo, la sua essenza non è altro che un fenomeno di gruppo degli spettatori. Per trasformare un attore in 'personaggio' di un mondo a sé, creato sul palco, gli spettatori devono ricomporre,  inizialmente in modo individuale ed enigmatico, la struttura dello spettacolo, scomposto in piccoli pezzi; in seguito, dopo questa operazione isolata e solitaria dalla totalità delle varie impressioni personali viene fuori l'opinione generale collettiva, che costituisce un indizio per la comprensione unitaria del mondo creato dall'attore."

GIORNALISTA: "Ma quindi sta per caso asserendo che essendo il teatro 'anti quotidiano e anti sociale', esso risulta essere in conclusione 'quotidiano e sociale'?"
IO: "E' pressappoco così. Perché poi, il far costruire questo teatro (con strutture equivalenti alla magia) ad un gruppo isolato di spettatori è come renderlo opinione pubblica. Non sono affatto d'accordo con Bertold Brecht e Walter Benjamin, i quali associavano il teatro all'"educazione". Perché se il teatro può essere accostato a qualcosa, deve trattarsi di occultismo (occultisme) o una forma di spiritualismo (spiritualisme) politicizzata.
I personaggi non sono lì aprioristicamente, come insegnanti, non sono altro che spettri suscitati e costruiti dagli spettatori.

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CAPITOLO 6 

GLI SPETTATORI NON DESIDERANO ESSERE ISTRUITI

 

Walter Benjamin scriveva: "Parlare della situazione del teatro non significa parlare di drammaturgia bensì parlare di teatro." Il problema è nella buca dell'orchestra, questo abisso che separa gli attori dal pubblico, come se chiudesse fuori i morti dai vivi; questo abisso che, nel fare teatro, accresce la sublimazione con il silenzio; e che, nell'opera lirica, accresce l'estasi con l'eco. Questo abisso, che si ferma in ogni elemento del palco, e, più densamente, in ogni traccia di cerimonia che ne è l'origine, sta perdendo questa funzione. Perché il palco si trova ancora ad un livello più alto, ma non si innalza da una profondità incommensurabile. Il palco si è trasformato in una piattaforma. Il problema è adattarsi a questa piattaforma." (Cos'è il teatro epico [Was ist das epische theater])

Io sono nato nella seconda metà degli anni '30, il periodo in cui questo saggio venne scritto, e quando sono giunto all'età in cui ero in grado di capire, l'orchestra era già stata eliminata dal "teatro".

Sono cresciuto in un'epoca in cui Wagner era ormai dimenticato, ho ricevuto un'"educazione teatrale" dagli attori itineranti, dagli spettacoli (Misemono), gli strips, i gruppi circensi, e poi dagli incontri artistici e culturali e dal Kabuki.
Benjamin scriveva che il palco è ancora ad un livello più alto, ma nel nostro teatro non ci sono più palcoscenici sopraelevati. Questo luogo che "si eleva da una profondità incommensurabile" è stato livellato agli spettatori, e, si è riusciti finalmente ad abbandonare quella "piattaforma" che sa tanto di predica.
Ora Benjamin è morto. Il suo ruolo, come quello di Brecht, è stato soltanto quello di dare vita ad una riforma che aveva l'impronta della loro epoca e del loro prendersi per mano.
Queste due "B" hanno espulso dalla scena storie sensazionali ed eroi tragici. Hanno cacciato anche la cosiddetta 'catarsi aristotelica', che consiste nello scaricare l'emozione e cancellarla immedesimandosi nel sentimento e nel fato dell'eroe.
 Però stavolta siamo noi a scacciare le due "B".

IO: "Nel teatro epico di Brecht, il pubblico pretende di avere un atteggiamento rilassato pertanto elementi come la capacità di empatia diventano completamente inesistenti.
Ma in pratica in cosa consiste questo "atteggiamento rilassato"?
Brecht afferma che esso consiste nella capacità di straniamento (verfremdung) cioè il teatro non viene inteso come storia ma come riuscire a comprendere una situazione.
Per esempio, nel teatro epico di Brecht spesso si trovano delle interruzioni. Esse  fanno parte del meccanismo dello straniamento.

Brecht spezza l'azione degli attori, così che gli spettatori: "Mettano il dialogo sui piatti della bilancia, e lo lascino giusto il tempo di pesarne il significato."
 Ma si badi bene: in questo periodo di tempo lo spettatore non prova emozioni nei confronti dei 'gesti', né del dialogo (ossia per il materiale che gli viene offerto dagli attori); l'unica attività che gli viene richiesta è quella di comprendere. In questo modo si impedisce agli spettatori di far lavorare la testa usando il corpo viene al contrario chiesto loro di applicarsi totalmente a manovrare il corpo usando la testa.

Da questa posizione, un chiaro palco, si esplicitano il pensiero di casta di "istruire" la platea, la trasformazione degli attori in modelli e la riproduzione del comportamento.
Nel teatro epico di Brecht, l'esperienza non è mai "esperienza trasmessa". In un primo momento, l'esperienza viene mediata dalla conoscenza, poi gli spettatori vengono influenzati dalla capacità di riproduzione fino al punto di divenire in grado di ripetere i gesti degli attori.
 La velocità cade, l'azione si riempie di fessure, perché "Gli attori, come tipografi, allargano lo spazio tra le parole, dilatano gli spazi tra i gesti."
Questo tipo di recitazione presuppone che lo spettatore riceva una conoscenza, e la restituisca a sua volta all'interno della realtà quotidiana, come esperienza che si possa ripetere.

In "Un Uomo E' un Uomo" la ragazza del locale notturno canta: "Smettila! È inutile ricordare le cose passate..." e  così facendo essa stessa ricorda. La volontà di Brecht di annullare il ricordo è un controsenso, perché senza la ricostruzione nella memoria, il suo teatro epico non si potrebbe comprendere completamente. Oltre a quelle di palco e platea ci sono altre due esperienze derivanti dalla fusione delle due conoscenze di palco e di platea da parte degli attori e da parte del pubblico. Ma nel caso di Brecht  il teatro resta un'aula , il copione  un libro di testo, la recitazione la materia di insegnamento, e gli spettatori non sono che degli allievi, che vengono in questo modo definitivamente esclusi dalla realtà teatrale sulla scena.

IO: "Riflettiamo sul fatto che (in giapponese) il termine spettatore deriva dal verbo "vedere" e ascoltatore da "ascoltare": le persone che si radunano a teatro sono individui che hanno nei confronti del mondo un approccio visivo, e cercano di comprenderlo con l'uso della vista.
 Ma in pratica in che cosa consiste questo "vedere"?
Se le relazioni con il mondo esterno di una persona si limitassero all'uso della vista, sarebbe come trasformarsi in un "buco nel muro di un angoletto, che sfugge alla vista della gente", non si diventerebbe altro che un auto alienato.
Gli emarginati, sono un problema sociale, non del teatro. Io a teatro non desidero essere sbirciato da migliaia di occhi, desidero "incontrare" migliaia di persone. Perché sono un essere che vive di relazioni, e il potere creativo del teatro consiste proprio nell'organizzare queste relazioni.
Il metodo cognitivo che sostituisce il "vedere" ad ogni altro genere d'esperienza raggiunge l'apice con una scoperta fatta in Italia, la camera oscura
[9].
  In Germania Gutenberg inventando una macchina per poter stampare la Bibbia, mise il bavaglio agli aedi; pressappoco nello stesso periodo in cui i trovatori 'diventarono muti',  in Italia la camera oscura, con una proiezione, creò lo spettatore. (Se si fa un buco al muro di una stanza in una giornata serena, sulla parete opposta appare il riflesso del panorama esterno capovolto).
A partire da questa foto in movimento, lo spettatore che guarda in questa stanza segreta entra in contatto con il mondo attraverso la "vista", fino a diventare come il guardone di "L’inferno" di Barbesse
[10]: adattando tutto alla "realtà della camera oscura" egli finirà per rendersi un outsider e per allontanarsi da tutte le altre esperienze, come "toccare", "ascoltare", "annusare", "assaporare".

Gli  spettacoli, che rielaborano in modo artificiale tutta la recitazione e tutte le azioni all'interno del teatro, per poterle riprodurre facilmente, allo scopo di  fornire un esempio educativo di alcune azioni, perdono la qualità di essere irripetibili. Non accetto inoltre questa ideologia di sostituzione del valore che mira a trasmettere gesti e azioni esclusivamente attraverso un'osservazione passiva.

 Ci sono casi in cui agli spettatori è data la qualifica di "spettatore cieco" (come in uno spettacolo a cui ho assistito personalmente in un piccolo teatro di Copenaghen: "Planetarium" di Nathalie Sarraute[11]). Esso si svolgeva dall'inizio alla fine in perfetta oscurità e gli spettatori, pur essendo ciechi, potevano sentire e prevedere, e toccare le cose. In questo caso, al contrario, si era verificata la situazione per cui il mondo scompariva con il "vedere".

Non sono d'accordo con il fatto che in teatro ci debba essere una "piattaforma" e rinnego anche il teatro come mezzo di istruzione subordinata a scopi politici. Nello stesso tempo guardo con grande sospetto anche l'ideologia anti catartica di alcuni intellettuali per cui la cosiddetta "educazione", cerca di collegarsi col mondo reale attraverso l'interesse rilassato e il "guardare" passivamente.
Rappresentare il mondo sostituendo ad ogni tipo di esperienza la semplice azione di guardare ostacola la comprensione globale della realtà.
Quest'atteggiamento dà un'importanza eccessiva alla influenza intellettualistica. Mi domando con quale diritto drammaturghi e attori pretendano di educare gli spettatori.

Il presente del nostro paese dagli ultimi cento anni a questa parte aspira all'Europa. A partire dal gruppo teatrale dello Tsukiji Shôgekijô (il teatrino della terra bonificata), si prendeva a modello il "teatro dei peli  rossi"[12] per apprendere la cucina, il modo di calzare e vestire, la tradizione del teatro illuminista. La struttura appresa studiando gli occidentali si è succeduta fino ad oggi, nella Bungaku-za, la Haiyu-za, la Mingei[13].
L'illuminismo di moda ha  cambiato totalmente il modo di vivere, di illuminazione,  e gli attori sulla scena mostrano il "gesto". Il gesto è il mezzo con cui gli attori diventano educatori di vita per il pubblico.
Benjamin afferma: "Contrariamente alle varie intenzioni e azioni della gente, il gesto sa stabilire chiaramente sul palco inizio e fine di ogni azione.  Il fenomeno basilare della dialettica del gesto consiste nell'incorniciare rigidamente tutti i fattori costitutivi di ogni azione che si attua nel corso della vita vissuta."
Tuttavia  riducendo la recitazione a vari modelli di gesticolazione, non si può ottenere altro che un sostituto della realtà, e tutto si riduce solo alla forma.
Fatti vuoti e temibili come "duplicare" il sentimento, nascono come risultato di un'interpretazione della realtà da parte del il giudizio razionale dell'attore di conseguenza il teatro, così di per sé, non consiste in un "incontro". Esso  viene semplicemente  esibito come materia di ricerca su problemi applicati affinché l'"incontro" avvenga.

L'ideologia che sostiene il teatro del "vedere", in definitiva, consiste nel far precedere l'essenza all'esistenza,  rendere sociale l'intenzione dell'autore, e trasmetterla arbitrariamente dall'alto del palco.
Ad essere precisi gli spettatori non "guardano" ma piuttosto "sono costretti a vedere". La libertà dello spettatore, l'atto di "ricordare", sta diventando una cosa possibile solo se non come seconda commedia. Però un teatro che esaurisca in una sola volta tutto l'"incontro" non si può ripetere, perché in teatro la realtà è "veloce" al punto da oltrepassare il ricordo.

"Smettiamola! È inutile ricordare le cose passate..."

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CAPITOLO 7 

FAR ADDORMENTARE GLI SPETTATORI

 

GIORNALISTA: "Lei ha detto di non riuscire a produrre che una metà dello spettacolo e che l'altra metà viene completata dal pubblico. Poi ha aggiunto anche che il solo "guardare" è insufficiente. Tuttavia io penso che il pubblico, sia che "tocchi", sia che venga "toccato", non fa altro che "vedere" con le mani o con la pelle nuda, quindi in parole povere che esso resti comunque essenzialmente un osservatore, e quindi, se ci poniamo dal punto di vista dello spettacolo, resta sempre un estraneo."
IO: "Penso che il regista non sia un uomo che si esibisce ma piuttosto un uomo che predispone."
GIORNALISTA: "Ma allora, se è così, finora, a parte il "mostrare", che cos'altro ha predisposto? Non potrebbe darmi qualche esempio dalla realtà?"
IO: "In "La guerra dell'oppio" facevo bere agli spettatori un farmaco per farli addormentare. Perché, partendo dal presupposto che nel teatro "visivo" di solito il giudizio razionale fa da mediatore, ho voluto provare a creare un incontro che lo escludesse. Lo spettatore non cambia per via dell'interpretazione, e si "rialza" dal venire cambiato fisicamente.

 

      <Testo>

 

Chi

ha bruciato la bambola

chi, facendo finta di niente, ha mangiato la carne                                                                                 [ di manzo?

Era

tanto buona

quanto era stata ammazzata

 

1ª ora: massaggi

2ª ora: massaggi

3ª ora: massaggi

4ª ora: massaggi

5ª ora: massaggi

6ª ora: massaggi

7ª ora: massaggi

8ª ora: massaggi

9ª ora: massaggi

 

Una donna richiama a gesti cantando.

 "Ristorante cinese L'Ozio."[14]

Gli ospiti che entrano nel ristorante, essendo stati  in piedi fino a quel momento, si siedono su delle sedie.
 
"Per il tavolo grande da questa parte."

Dalle pentole della cucina sale un vapore infernale.

Il cuoco sta rimescolando un brodo di carne a cui ha aggiunto del sonnifero.

Cornacchie impagliate. Donne deformi.

1. Far toccare le mani dei convitati sul tavolo.

2. La minestra distribuita un piatto alla volta.

3. I convitati che la sorseggiano.

4. Lista per il coro:

"Arte della fotografia sovrannaturale, spirito guida, macchia di sangue, essere spettrale, sentire voci, chiaroveggenza, scomparsa e apparizione di oggetti, scrittura automatica, ubiquità, esame scritto, rumori di battiti, visione nel buio, pronuncia falsificata di altre lingue, perdita della memoria recente, predizione con dei bastoncini, scriba che scrive su una lavagna di pietra, telepatia, possessione, voci dall'aldilà, disegno automatico, capacità di riconoscere le proprie patologie, sindrome da irrigidimento, scrittura copiata, seduta spiritica."

5. Gli avventori cominciano ad appisolarsi all'improvviso.

Una  matrigna afferrando un bambino per i capelli lo trascina in giro per la cucina.

Un gatto salta e il pentolone del brodo di carne si rovescia.

Nessuno parla, e  la scena acquista l'atmosfera di un incubo.

La cameriera ninfomane inizia a mangiare fiori.

Il servitore masochista vuole salire sul tagliere e si trasforma nella carne.

Il cuoco gli raccoglie solo gli occhi dalla minestra. Il fumo si innalza. Gradualmente gli avventori vanno perdendo i sensi e si addormentano.

 

In "La guerra dell'oppio" per prima cosa rinchiudiamo gli spettatori, i quali, di conseguenza,  cercano l'uscita. Essi,  andando alla ricerca dei personaggi, portano avanti, ad uno ad uno, la propria esperienza in un dato luogo. Gradualmente si va generando l'immagine di un uomo inesistente, Han[15] (esule cinese), cioè il teatro della delusione di massa. (Massenwahn).
 Gli ospiti che arrivano all'Ozio sono da trenta a cinquanta (al tavolo grande ci sono 18 posti gli altri mangiano in piedi). Il sonnifero impiegato è un nuovo farmaco di fabbricazione giapponese, e per ogni persona ci vogliono dalle 8 alle 10 compresse.
Si nota una chiara differenza tra l'esperienza durante l'insonnolimento e quella una volta svegli. Gli spettatori cadono addormentati sul tavolo, e quando riaprono gli occhi sono spariti personaggi, scenografia e gli altri spettatori, e, altro che azione dissimilante, non riescono più a capire se quello che hanno visto sia stato reale o meno. Poi l'esistenza riesce a prevalere sull'essenza.
Con una prova simile, capace di far crollare le convinzioni interne, introduco, come avviene nell'esecuzione di Cage, David Tudor,  gli spettatori nella gabbia e trasformo il teatro "visivo" in teatro di "esperienza personale".

Abbiamo rappresentato questa pièce al Mickery Theatre di Amsterdam per ventuno giorni;  è stato come far vivere agli spettatori un esperienza personale di "gioco agli indovinelli" o di "casa degli spettri" e condividere con loro  la presenza di un "uomo inesistente"[16].  Il nostro mondo (quello della compagnia e degli spettatori) veniva colmato da un uomo che non esisteva, e, tramite la ricerca di quest'uomo, poteva continuare ad esistere finché spettatori e attori si fossero presentati gli uni agli altri.
Interrompendo, tra il pubblico, i principi della realtà quotidiana, una sera facciamo intervenire i principi della realtà dell'eros, questo permette di rinnovare la consapevolezza del pubblico da una sfera all'altra.

 

IO:  "Voglio dire che, in "La guerra dell'oppio", Han l'inesistente accetta il ruolo del clown;  non mostrandosi, non può essere visto, ma toccando e facendosi ascoltare, egli libera gli spettatori dalla loro condizione di schiavitù nei confronti del mondo della continuità temporale.

Inoltre l'idea di "far dormire" gli spettatori somministrando loro il Burobarin, rende relativa la forza del "vedere" sostenuta dal senso comune e li disarma.
"Il clown, oltre a rendere relativa la ragione e a disarmare, mostra la via per raggiungere una ragione trascendente" (da "Il mondo del clown" di Yamaguchi Masao).
Yamaguchi osserva che il clown è in grado di risvegliare un altro sonno che si annida nel subcosciente degli spettatori."

 

In "La guerra dell'oppio" erano previste anche prove del tipo della seguente:

                                                           <TESTO>

All'entrata gli spettatori trovavano nella prima stanzetta il seguente cartello:
1. "Prego, aprite la serratura ed entrate nella stanza successiva."
Gli spettatori che seguivano l'invito, nella seconda stanzetta trovavano un altro cartello:
2. "Prego, appendete la giacca alla stampella ed entrate nella prossima stanza."
Gli spettatori che vi entravano trovavano al centro della terza stanzetta una sedia di ferro da tortura, con delle cinghie, e il cartello:
3. "Accomodatevi sulla sedia."
A questo punto, se gli spettatori si sedevano, usciva una mano che voltava il primo cartello e appariva:
4. "Legatevi le caviglie con le cinghie."
Fatto ciò usciva di nuovo la mano e voltava un altro cartello:
5. "Legatevi anche la vita."
Una volta eseguito l'ordine la mano voltava di nuovo il cartello:
6. "Legatevi il collo."
Legato anche il collo riusciva la mano e voltava un altro cartello:
7. "Fate una benda con la stoffa qui al lato."
Se gli spettatori avevano eseguito correttamente ogni comando non potevano più muoversi né vedere.
A questo punto compariva uno schiavo completamente intriso di olio d'oliva che fotografava gli spettatori che si erano legati, con una Polaroid; poi, dopo aver fatto ascoltare loro  "Lettera di un Cieco", lo schiavo toglieva la benda agli spettatori e davanti ai loro occhi appariva un cavallo in carne ed ossa!
Si tratta della scena dello studio fotografico per soli uomini Adone. Questo tipo di spettacolo poteva essere fatto sperimentare ad un solo spettatore per sera, al massimo a due.  Anche in questo caso la ragione degli spettatori viene resa relativa; nella ricerca dell'adesione completa al dramma puro: cerchiamo di illuminare verso la molteplicità.
Perciò quanto dicevo prima, circa la nostra idea di creare solo la metà dello spettacolo e la scelta di questo tipo di spettatore, voleva intendere che sono le azioni di quest'ultimo a fare teatro. Sia gli avventori del ristorante l'Ozio, sia quelli dello studio fotografico Adone, sia quelli della "Prigione Sotterranea", così come quelli del "Tavolo Operatorio" e quelli della "Nave che Affonda", avevano ciascuno la propria esperienza individuale, ognuno veniva costretto ad uscire al di fuori della propria realtà quotidiana; tramite il processo di drammatizzazione della realtà, lo spettatore diventava anche indipendente, e mentre recedeva all'interno del proprio io, contemporaneamente, come fenomeno collettivo costruiva uno "spettacolo".
Questo tentativo, visto come astrazione dell'esperienza spirituale, rappresenta l'occhio dell'immaginazione teatrale che "guarda senza vedere". Esso  costituisce una fuga dallo "spettatore guardone in  una camera oscura": è il teatro costruito per metà dal pubblico.

 

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[1]Letteralmente Higan, aldilà.

[2]Peter Handke, scrittore e commediografo austriaco (1942). Inizialmente si è riconosciuto nella poetica  sperimentale della Neoavanguardia. Nei primi romanzi ha rinunciato all'azione come struttura portante. Sono esempi di letteratura descrittiva. La polemica contro le convenzioni letterarie si fa più radicale nelle sue "commedie" Insulti al Pubblico (1966) e Autodiffamazione. Esse denunciano la lingua come strumento di condizionamento e dominio.

[3]Jean Genet Scrittore e drammaturgo francese (1910-1986) Dotato di una vena ironica, toni aspri e irridenti. La sua arte  è composta da un surrealismo corposo in cui il tema dell'assurdo si fonde con una realtà quotidiana acida e dissacrante. Letto e recitato in tutto il mondo.

[4]Nell'originale Hoissura, dall'inglese whistler, ossia colui che fischia. Probabilmente nelle partite di football americano, con questo termine si indica una sorta di arbitro di gioco o di guardalinee.

[5]Nel football americano è quella linea, situata agli estremi del campo, che il pallone deve superare per realizzare un punto.

[6]John Cage: compositore statunitense (1912) tra i maggiori esponenti della musica d'avanguardia contemporanea

[7]Nel testo originale "Tyûdoa".

[8]Nel testo originale usa la parola KYOKÔ: finzione, immaginario.

[9]Strumento ottico che sfrutta la rifrazione della luce per riprodurre su una parete di una scatola buia limmagine capovolta che entra nella scatola sotto forma di raggi di luce attraverso un foro aperto nella scatola stessa. Lo stesso principio venne sfruttato più tardi nella camera fotografica.

[10]Henri Barbesse scrittore francese (1873-1934).

Col romanzo L'Inferno (1908) scelse la strada di scrittore rivoluzionario, consacrata nel 1916 da Il fuoco, una delle più realistiche e atroci rappresentazioni degli orrori della guerra

[11]Narratrice francese di origine russa. (1902).

Per il suo carattere di ricerca e di rottura con la tradizione, la sua opera è assimilata a quella del Nouveau-Roman nella critica alla logica del "personaggio". Ha tentato ipotesi narrative distinte, tese soprattutto a restituire il "flusso senza fine" della vita reale. Ha scritto anche per il teatro. Tra le sue opere da ricordare Ritratto d'ignoto (1949), Il planetario (1959) e Infanzia (1983).

[12]Nome usato dai giapponesi per etichettare gli stranieri in particolare gli occidentali.

[13]Nomi di compagnie teatrali, rispettivamente: Corporazione letteraria, Corporazione  di attori, Gli artigiani del palco.

[14]negozio all'interno del teatro.

[15]L'ideogramma con cui è scritto questo nome, significa 'colpevole'.

[16]Questo fantomatico Han, l'uomo inesistente, potrebbe corrispondere a Hans Brummer, il misterioso fattorino della posta centrale di Amsterdam descritto a pag. 50.